don Nildo Pirani

Don Nildo Pirani (1937), presbitero bolognese, ricorda e cita molti appunti stesi durante gli Esercizi Spirituali in preparazione al Sacerdozio, predicati da Dossetti nel 1961, e il loro influsso per tutto il ministero successivo. Emerge così uno spaccato di come Dossetti pensava l’identità del prete.

 

Don Dossetti: uno spaccato di ricordo.

 

Nella mia agenda dell’anno 1961, al giorno 17 luglio, si legge: “A Monteveglio, sotto la direzione di Don Dossetti, iniziano gli Esercizi Spirituali in preparazione al Sacerdozio”.

E, per sei giorni, continuano le mie note su quell’esperienza, per me fondamentale, alla vigilia della mia Ordinazione presbiterale che sarebbe avvenuta il 25 luglio successivo, in San Petronio, per le mani del Cardinal Lercaro.

Mi sono voluto servire di queste note per un contributo alla memoria di Don Dossetti , perché penso che siano, fra le tante che verranno ricordate da molti, cose di una certa originalità.

Ovviamente mi limito ad alcune, poche, sottolineature fra tante che riempiono le pagine di quell’agenda.

Così al 19 luglio: “Comincio a vedere la Messa e la Bibbia in un modo che non avevo considerato: bisogna continuare su questa strada: è tutta una nuova ricchezza che, finora, né la scuola, né i libri mi avevano scoperto. Ho visto come si possa parlare di attualità dell’Antico Testamento senza bisogno di ricorrere a barocche ed arbitrarie interpretazioni”.

L’attualità dell’Antico Testamento… Si precorre il Concilio, già indetto, ma non ancora iniziato! E anche in Seminario, pur riconoscendo che l’era lercariana aveva già smosso qualcosa, l’Antico Testamento, nella sua integralità, non faceva certo parte della nostra spiritualità.

L’ immersione biblica, Antico e Nuovo Testamento, di quei giorni passati con Dossetti, hanno segnato per sempre il mio approccio con la Parola…

Nella stessa pagina: “Molto efficace l’istruzione sullo zelo amaro, e le sue rovine nel campo del lavoro apostolico”.

Zelo amaro: quello inficiato di intenzioni non pure: carriera, successo, approvazione… Causa di “rovine” nel lavoro apostolico: oltre che indurmi al proposito di “… non cercare mai di farmi io un posto nell’apostolato, ma di accettare sempre la volontà dei superiori, senza cercare altro… ”questo discorso, riletto ora, mi pare contenga una spiegazione di tante scelte operate, poi, da Dossetti stesso nelle peripezie della sua vita degli anni successivi: monizione “profetica” per un certo modo di intendere tanta parte della vita di chiesa, soprattutto da parte di quel Clero nel quale ci preparavamo ad entrare pienamente.

Al 21 luglio: “Oggi don Dossetti è tornato sull’argomento di ieri, ampliandolo e spiegandolo meglio: nell’uso dei beni terreni l’importante è formarsi uno spirito di distacco, oggi più che mai necessario, senza cercare dei pretesti, quasi una nuova spiritualità, che giustifichino l’uso quasi illimitato di questi beni: tutto ciò non sarebbe che doppiezza”.

Una “eco” previa di quanto avremmo sentito poi, nella grande risonanza conciliare, sulla Chiesa dei poveri… Voce che grida nel deserto, ma sola veramente capace di preparare le vie del Signore… almeno nel cuore di undici diaconi a qualche giorno dall’Ordinazione presbiterale.

Sempre sullo stesso argomento riporto quasi completamente quanto trovo a sabato 22 luglio: “Sono stato a parlare con don Dossetti.

Il problema della rinuncia all’uso di certi beni, va impostato in quello più vasto del grado di perfezione a cui uno è chiamato. Punto di partenza deve essere questo: non imporsi a priori un limite, un grado scelto da noi, sulla via della perfezione, appunto perché questa è una “via” non uno stato; occorre il più completo abbandono, occorre darsi a Dio completamente, senza riserve; ci farà capire Lui quanto, volta per volta, vuole da noi.

Questa volontà di Dio, poi, si rivelerà per mezzo della preghiera,della direzione spirituale, delle circostanze.

Mi sembra sia questa la scoperta di questo corso di Esercizi: l’aver compreso cosa significhi l’abbandono, di cui avevo già tante volte sentito parlare. Riscopro, così (… ..) il senso della preghiera dell’abbandono di Padre De Foucauld, che finora mi era sembrata una preghiera come tante altre; e mi accorgo, così, che la vita interiore diventa più facile e più semplice. Grazie al Signore!”

E grazie anche a Dossetti che, infinite volte, poi, in seguito, ha guidato per questa via, con la parola e l’esempio, tanti di noi…

Domenica 23 luglio: è l’ultimo giorno degli Esercizi.

La pagina del mio diario si apre con la parola: “La Messa”.

“Dire Messa”: equivaleva a “essere prete”. Era il punto d’arrivo di un lungo cammino, di un sogno, di un desiderio…

Da anni la Chiesa che è in Bologna era stata mobilitata dal suo Arcivescovo in un’opera grandiosa di riscoperta della Messa e avevamo imparato a considerarla, anche se ancora non si usavano queste parole del Concilio, “sorgente e culmine” di tutta la vita cristiana.

Penso che Dossetti non avesse ancora avuto modo di essere direttamente coinvolto nell’opera di riforma liturgica del Cardinale Lercaro, come, invece, avverrà durante il Concilio.

Ma il suo profondo coinvolgimento personale nella Messa era sotto gli occhi di tutti: la sua immedesimazione con ciò che celebrava lo portava, talora, a dimenticare lo scorrere del tempo e si parlava di Messe da lui celebrate in due – tre ore… come se il tempo si fosse fermato davanti al Mistero.

Oltre a celebrarla come indiscusso centro del nostro corso di Esercizi, la Messa fu l’argomento, ovviamente più trattato, da ogni punto di vista. Leggo, qui, nell’ “Orario” delle giornate degli Esercizi: “ore 11,15: Esercizi per la Messa”.Ricordo che anche l’attenzione alle “ Rubriche” del Messale che regolavano scrupolosamente ogni atto della Messa, diventavano occasioni per osservazioni preziose che toccavano, a partire dal rito, le profondità di ciò che stava per essere affidato alle nostre mani.

A noi, già abituati dal Cardinal Lercaro a pensare che alla Messa non deve tanto essere data importanza, in quanto l’importanza ce l’ha, per cui si tratta di riconoscere questa importanza e agire di conseguenza, Dossetti disse: “Quando alzerete l’Ostia consacrata, ricordatevi che avete il cosmo nelle vostre mani: cosa volete di più?”.

Chiudo qui la mia agenda e, a cinquant’anni di distanza, riconosco con tanta gratitudine come Dossetti, già in quei giorni, mi abbia fatto entrare nello spirito di quella “rinnovata Pentecoste” che Papa Giovanni vedeva nel Concilio incipiente. In quel Concilio che lo ha poi veduto, accanto al Cardinal Lercaro, fra i protagonisti.

Noi, ordinati presbiteri nell’anno 1961, con tutta la Chiesa bolognese, e non solo essa, credo che dobbiamo ancora, riconoscendo in Dossetti un dono che il Signore ci ha fatto, domandarci quale sia l’apprezzamento del dono e, a questo proposito, mi sembra utile, come piccola traccia di esame di coscienza, quanto lo stesso Dossetti ebbe a dire in un incontro, in Terra Santa, ai Preti e Seminaristi di Roma in pellegrinaggio:

“Siamo proprio quello che dobbiamo essere? E quali sono gli atti fondamentalissimi e più importanti, (impreteribili) assolutamente, che dovremmo riporre continuamente al centro di tutta la realtà ecclesiale quali? il Concilio Vaticano II ci dice che la fonte e il culmine di tutte le operazioni ecclesiali stanno nella Messa, ma io non vedo che questo sia vero e dico francamente – adesso vi faccio una confessione: la Diocesi di Bologna ha celebrato nell’87 il suo Congresso eucaristico decennale. C’è a Bologna il costume che ogni parrocchia fa la sua decennale, che ogni zona fa la sua decennale, la diocesi intera fa la sua decennale. Cioè ogni 10 anni si celebra, con solennità, non solo una riproposta al popolo cristiano della centralità dell’Eucarestia, ma si dovrebbe riproporre la centralità dell’Eucarestia anzitutto per il prete. E questo non è avvenuto. Dico francamente – a tre anni mi sento di dire – che il bilancio sotto questo aspetto ha lasciato le cose come erano prima. Non è avvenuto. Può darsi che il popolo abbia cambiato in qualche cosa, ma il clero no, è rimasto nelle stesse posizioni di prima, per quel che riguarda l’Eucarestia. Non è avvenuta nessuna modificazione, non si è sentito che ci fosse qualche cosa di vitale, di nuovo riproposto al clero, per porre veramente al centro della propria funzione, della propria vita, l’Eucarestia.

Questa amarezza e questa delusione mi resta e più ci si allontana da quella data più mi aumenta. Non l’ho mai detto al Cardinale, però adesso glielo direi. Lui si è illuso, ha fatto un Congresso stupendo, magnificamente organizzato – tra l’altro con un grande dispendio di mezzi ed una sapienza anche organizzativa concreta e una proposta interessante in vari campi. Ha cercato di individuare dei punti nodali di eredità del Congresso: una casa per i poveri, un ricovero per i vecchi, sei o sette opere che sono in via di realizzazione, ma il clero? Non credo che abbia fatto nulla per il clero questo Congresso. E secondo me (questa) cosa non è accaduta. Dobbiamo cambiare noi completamente, perché veramente Cristo sia al centro anche della vita del popolo cristiano e anche della vita della Chiesa, e dobbiamo necessariamente deciderci a semplificare le nostre funzioni e a centrarle tutte su quella che è la funzione fondamentale. Io non ho poi altro da dire… ”

[don Nildo Pirani, da appunti di cinquant’anni fa e da considerazioni attuali]