Don Tarcisio Nardelli (1937), presbitero della diocesi di Bologna e delegato per le missioni, ricorda i primi contatti con Dossetti e la passione per la Bibbia trasmessagli. La testimonianza rac-coglie ricordi personali di una lunga amicizia, dal ritiro per la sua ordinazione, alla collaborazione nella Fuci e nell’AC, alle liturgie comuni, alla difesa della Costituzione italiana.
RICORDI DI DON GIUSEPPE DOSSETTI
Sono stato accusato di “dossettismo”. Non so quali terribili immagini o fantasmi evochi questo termine in colui che ha finalmente scoperto, dice lui, la radice e la causa di tutti i miei mali, i miei cattivi esempi e le mie brutte testimonianze (si chiede anche se il sottoscritto è ancora un prete catto-lico). So solo che non mi si poteva fare elogio più grande. Purtroppo devo però dire che non merito questa accusa-elogio, perché di fronte al gigante e profeta Giuseppe Dossetti io mi sento piccolo, piccolo e un indegno discepolo.
Il primo vero incontro con don Giuseppe è avvenuto nei giorni degli esercizi spirituali fatti nell’abbazia di Monteveglio, subito prima della mia ordinazione presbiterale, avvenuta il 25 luglio 1964.
Don Giuseppe mi ha fatto scoprire e amare la Bibbia, l’importanza della Parola di Dio nella vita del cristiano, nella vita del presbitero, nella vita della Chiesa.
1967: Don Giuseppe era provicario generale, io ero a Vergato come cappellano. Un giorno passò da Vergato e ricordo che quando mi cercò io ero in chiesa (un’altra volta, nel 1970, mi cercò e mi trovò mentre ero in chiesa a pregare; chissà… avrà pensato che ero uomo di preghiera). Mi diede un appuntamento. Saputo che mi ero licenziato in teologia dogmatica alla Gregoriana nel 1966, mi propose di riprendere gli studi per il dottorato. Gli obiettai che non ero adatto per l’insegnamento e lui mi rispose che il dottorato non necessariamente era in funzione dell’insegnamento, ma che era suo obiettivo che in ogni vicariato ci fosse qualcuno esperto in Sacra Scrittura, in liturgia, in dogmatica, in morale per essere di aiuto ai confratelli.
Mi chiamò all’inizio di settembre 1967 per dirmi che aveva pensato a me come vice assistente della FUCI, vice di don Paolo Serra Zanetti, destinato quindi a entrare nella comunità presbiterale di S. Sigismondo che desiderava costituire per la pastorale in università e mi sottolineò che aveva pen-sato a me anche come assistente della Gioventù Femminile dell’A.C., ma che aveva poi scartato l’ipotesi per la mia non brillante salute.
Da quegli anni di S. Sigismondo il rapporto con don Dossetti e la sua comunità si è sempre più approfondito. Per me, per i presbiteri di S. Sigismondo, per i giovani che facevano riferimento alla FUCI e al Centro Universitario l’appuntamento del sabato sera nella chiesa dell’abbazia di Monteve-glio per la celebrazione della Parola era atteso con vivo interesse.
Eravamo a Monteveglio per una Tre Giorni della FUCI e don Giuseppe ci annunciò che la ce-lebrazione della Parola di quel sabato forse sarebbe stata l’ultima. Perché? In Giordania Re Hussein con l’aiuto degli Stati Uniti (dove aveva fatto addestrare uomini a lui fedeli) aveva pianificato lo sterminio dei guerriglieri presenti nel paese. Si parlò di 200.000 morti (potrei sbagliarmi). Quel set-tembre passò alla storia come “settembre nero”. Nixon aveva mosso la sesta flotta statunitense pre-sente nel Mediterraneo in appoggio a Hussein. Dossetti temeva che potesse scoppiare un conflitto e lui, che difficilmente faceva applicazione sull’attualità per non strumentalizzare la Parola di Dio, quel sabato fu durissimo sulla politica occidentale antipalestinese, invitando a disobbedire in caso di guerra e dicendo che era disposto a chiudere la celebrazione della Parola se questa recava dispiacere a qualcuno (che chiaramente non erano i laici presenti).
In effetti cessarono le celebrazioni in Abbazia e ripresero, per un po’ di tempo, nei tempi forti liturgici (così mi pare) nella Chiesa del Cuore Immacolato di Maria, Villaggio INA di Borgo Panigale. E qui un sabato sera, dopo la liturgia della Parola, mi avvicinai a don Giuseppe per salutarlo. Lo trovai stanco. «Cosa vuoi? – mi disse – Questa notte ho dormito molto poco. Ieri sono stato a discutere con un gruppo che pretendeva di convincermi che nulla sarebbe cambiato per il cristianesimo se si fossero trovate nel sepolcro a Gerusalemme le ossa di Gesù!».
Sempre in una Tre Giorni della FUCI a Monteveglio don Giuseppe richiamò la nostra attenzio-ne su un fenomeno emergente nella Chiesa: i neocatecumenali di Chico Arguello. Già all’inizio era un po’ perplesso per la notizia che gli era giunta che Chico si era immerso nel fiume Giordano, lasciando quasi intendere che fosse un nuovo battesimo. In seguito lo sentii ancora più critico, sottolineando le divisioni che il movimento neocatecumenale portava anche nelle comunità religiose e parrocchiali.
Ho passato momenti non facili, specie quell’anno in cui sono stato direttore del collegio inter-nazionale di Villa S. Giacomo: ho avuto in don Giuseppe un consigliere prezioso e un amico cordiale. Anche negli anni in cui sono stato vice assistente dell’Azione Cattolica per il settore giovani la comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata è stata un forte punto di riferimento per tutto il gruppo che lavorava in Centro Diocesano.
Ho un vivo ricordo del primo pellegrinaggio in Terra Santa, nel 1974, dieci anni dopo la mia ordinazione presbiterale. Non è possibile dimenticare la Veglia tra il sabato e la domenica nella basi-lica del Santo Sepolcro.
Durante il periodo del terremoto in Friuli matura la mia vocazione missionaria in Tanzania, a Usokami. Prima della partenza ricordo due cose: il dono del breviario monastico con la sua firma au-tografa e il suo commento al Vangelo della donna cananea la domenica prima della mia partenza per l’Africa.
In Africa ero molto informato su quello che succedeva nella Chiesa di Bologna. Un giorno (siamo circa nel 1980) arrivò una cassetta che portava registrato un incontro di don Giuseppe con al-cuni miei amici. Ricordo ancora una sua affermazione e una sua previsione: «Mai come oggi la Chiesa è stata libera di scegliere i suoi vescovi e di resistere alla pretesa degli stati. Il pericolo che sta emergendo è all’interno della Chiesa e sono i movimenti che hanno la pretesa di essere loro a scegliere i vescovi» (Non aveva ragione?). E invitava i miei amici a tornare e a lavorare in parrocchia.
Non vorrei dimenticare un altro ricordo di don Giuseppe legato al convegno FUCI fatto a Ve-rona subito dopo il concilio. Un’associazione laicale osava interessarsi della Chiesa (così pensava qualche vescovo). Tra le varie commissioni ce n’era una che rifletteva sul tema della povertà nella Chiesa. Chiesero a Giancarla Matteuzzi una comunicazione su come il tema della Chiesa dei poveri era vissuto a Bologna. Giancarla passò la patata bollente a me. Ricordo ancora che sottolineai come don Giuseppe Dossetti – allora provicario – aveva cercato attraverso dieci commissioni di studio di attualizzare il concilio nella Chiesa locale di Bologna. La commissione sulla Chiesa dei poveri aveva affrontato il problema della costruzione di nuove chiese. Don Giuseppe affermava che era finito il tempo di costruire grandi edifici. Per lui il futuro della Chiesa erano le piccole comunità, un ritorno all’esperienza dei primi tempi della Chiesa. È difficile, dopo 40 anni, dargli torto.
Quando sono tornato dall’Africa definitivamente ho passato a Monte Sole alcune settimane e con grande gioia ho accompagnato don Giuseppe in Calabria, vivendo con lui alcuni giorni.
25 Luglio 1991: Da alcuni giorni è morto nella mia parrocchia un ragazzo di 17 anni, Fabio Papa. Al mattino partecipo alla S. Messa della comunità di Monte Sole. All’omelia partecipata parlo di Fabio, di come è morto, della sua grande rassegnazione. Ricordo ancora l’intervento di don Giu-seppe che collegando la passione di Fabio al Vangelo dei due figli di Zebedeo che chiedono di sedere uno alla destra e uno alla sinistra di Gesù affermò: «La cosa più importante non è sedere alla destra o alla sinistra di Gesù, ma bere al calice, cioè vivere nella nostra vita il Mistero Pasquale di Gesù. Il cristiano è un uomo che con il battesimo mette a disposizione di Gesù tutta la sua esistenza perché il Signore possa continuare a celebrarvi il suo Mistero Pasquale».
Termino ricordando che la voce di don Giuseppe, negli ultimi anni della sua vita, ruppe il si-lenzio che si era imposto quando Berlusconi, iscritto alla P2, entrò in politica. Don Giuseppe avvertì il pericolo per l’Italia e parlò con forza in difesa della Costituzione Italiana. Lo spettacolo avvilente e indecente di questi ultimi anni e di questi mesi sono a testimoniare lo sguardo profetico di don Giu-seppe Dossetti.
[Don Tarcisio Nardelli]