Don Eleuterio Agostini (1923), presbitero di Reggio Emilia, interviene ufficialmente nella commemorazione diocesana di Dossetti nel centenario della nascita. La sua importante testimonianza si concentra principalmente sugli anni giovanili di Dossetti, sul rapporto con alcuni preti locali e il vescovo Socche e sugli anni della resistenza.
Don Eleuterio Agostini
Mi è stato assegnato questo compito di commemorare, nel centenario della nascita, Don Giuseppe Dossetti, per meriti anagrafici e sono ancora abbastanza lucido per riconoscermi impari alla bisogna.
Solo si considerino le decine di commemorazioni che in questi giorni si tengono in tutt’Italia – anche ai massimi livelli istituzionali – intese a illustrare i diversi aspetti della personalità di Don Giuseppe Dossetti, del suo pensiero, delle sue intuizioni e della sua opera. Il fascino della sua figura e della sua vita è perfino aumentato: un grande giurista e costituzionalista, un grande uomo politico, un obbediente figlio della Chiesa, capace delle grandi rinunce che caratterizzano un monaco. Ce n’è per tutti. Eppure io mi sento onoratissimo d’essere qui a ricordare e rabberciare le sue radici reggiane proprio perché i suoi parenti, i suoi nipoti sono tra di noi e specialmente abbiamo conosciuto, stimato e amato il fratello professore e onorevole Ermanno.
Per questo siamo meno abbacinati dalla sua luce. Dopo tutto è un reggiano come noi, pur se l’essere reggiano venga inteso come il suo “nomen humilitatis”, come lo era stato Nazzareno per Gesù. Del resto sono certo che Don Giuseppe si qualificherebbe addirittura come “cavriaghino”.
La sua prima messa Don Giuseppe volle celebrarla nella chiesa parrocchiale di San Terenziano a Cavriago dove, sono sue parole, aveva frequentato i corsi “dell’università della vita”.
Insomma: ”de re nostra agitur”
Mi introduco richiamando una testimonianza di don Alberto Altana al quale Giuseppe Dossetti ebbe a dire nel 1985 “se non avessi incontrato don Dino, tutto sarebbe diverso”.
Nel 1927 la Famiglia Dossetti si era trasferita da Cavriago a Reggio. Sappiamo che il giovanissimo Giuseppe ebbe come guide spirituali il servo di Dio P. Daniele da Torricella e P. Davide. Fu, infatti, terziario francescano e coltivò per qualche tempo il proposito di farsi Cappuccino. Va detto che Giuseppe Dossetti nella sua vita sarà sempre un consacrato: terziario francescano, poi membro, dopo il ’35, dei missionari della regalità di Cristo, quindi partecipe dei “Milites Cristi” di Giuseppe Lazzati. sino alla sua consacrazione presbiterale e alla professione monastica.
Giuseppe Dossetti fu anche uno studioso della vita consacrata. Nel ’39 e nel ’40 uscirono due sue pubblicazioni che riguardavano “Le associazioni di laici consacrati a Dio nel mondo. Memoria storica e giuridico-canonica”, che sarà uno dei fondamenti della costituzione “Provida Mater Ecclesia” e del motu proprio “Primo feliciter” di Pio XII che avrebbero regolato gli istituti secolari.
Ma dove, quando incontrò don Dino Torreggiani, incontro da lui stesso indicato come determinante per la sua vita? All’Oratorio San Rocco, a 17 anni, nel 1930.
L’Oratorio San Rocco sorgeva nel centro della città subito dietro i portici della Trinità e fiancheggiava i giardini pubblici. Si trattava di due cortili: uno piccolo seppur circondato da casamento e l’altro più grande, circa un normale campo di calcio, circondato pure da casamenti eccetto il lato nord.
Nel 1920 don Giuseppe Farioli dette origine lì all’oratorio cittadino domenicale per i bambini e i ragazzi della città, ed ebbe durante gli anni venti un notevole sviluppo. La domenica erano i seminaristi teologi a seguire quelle centinaia di ragazzi. Nel 1930 l’oratorio viene affidato a don Dino Torreggiani, giovanissimo sacerdote, che fa veramente decollare l’oratorio, e ne fa qualcosa di più di un Oratorio, e cioè un’illuminante esperienza di accoglienza evangelica e pastorale. Subito diventa quotidiano, con il doposcuola; l’anno successivo sempre in San Rocco don Dino avvierà il piccolo Seminario San Giuseppe dal quale usciranno numerosi sacerdoti. L’Oratorio diventa anche luogo in cui i soldati in libera uscita dalle tre caserme che allora c’erano a Reggio, potevano trovare accoglienza e qualcuno che li aiutava a scrivere a casa e a scrivere ai loro parroci.
Fu allestita un’ampia sala cinematografica attrezzata anche a teatro.
Venne aperta una mensa per i poveri, e resta indimenticabile la cuoca: Giuseppina Cacciavillani.
In San Rocco incominciarono ad affluire anche gli zingari. Don Dino non voleva che si dicesse così; bisognava parlare di nomadi e proprio per loro vennero celebrati tanti battesimi, prime comunioni, cresime e matrimoni. Anche gli ex carcerati, usciti da San Tommaso, si rivolgevano a San Rocco per avere un aiuto, qualche abito, un paio di scarpe, e per trovare un lavoro.
San Rocco divenne tentacolare, aggrovigliato, ma Don Dino poteva avere le suole delle scarpe bucate, però sempre lucide ed esigeva ordine e decoro. Gli ambienti erano al limite della fatiscenza perché si attendeva la costruzione del nuovo Seminario che però arriverà solo nel 1954. Non ci furono mai crolli della struttura, ma se ciò fosse accaduto ne sarebbe derivato gran dispiacere ma non meraviglia.
Era quindi diventato, San Rocco, un luogo di accoglienza totale per chiunque si trovasse nel bisogno. Don Dino non poteva fare tutto da solo quindi ebbe l’aiuto di tanti sacerdoti: don Luigi Tonelli, Don Orlando Poppi, Don Ennio Caraffi, Don Ferdinando Tosi e altri ancora. Confluirono molti laici: il ragioniere Carlo Lidner, che poi diventerà sacerdote, Panciroli Alfonso poi padre Cappuccino, Migliori Guido, Fulvio Lari, e altri ancora, e fra questi anche i fratelli Giuseppe ed Ermanno Dossetti. Era stata la madre Ines a portare in San Rocco il diciassettenne Giuseppe consegnandolo e affidandolo a Don Dino. Di qui nasce quel rapporto così decisivo di Dossetti con don Dino Torreggiani. Risulta evidente il criterio pedagogico di Don Dino, che più tardi darà origine ai Servi della Chiesa: formazione attraverso anche il servizio.
Dal 1930 al 1936 Giuseppe Dossetti in San Rocco diventa il “catechista”. Alle sue catechesi, c’è la testimonianza del Dott. Marastoni, assistevano fino a cinquecento persone e don Ennio Caraffi ci informa che, Giuseppe Dossetti preparava e si preparava alle sue catechesi, inginocchiato di fronte al tabernacolo. In San Rocco c’era anche la Chiesa dedicata a San Rocco e qui si pregava, c’era la Messa quotidiana, il Rosario e appunto le catechesi.
Nel 1933 venne celebrata, una delle prime in Italia, la settimana liturgica condotta da Mons. Pietro Tesauri e dall’Abate benedettino di Parma Emanuele Caronti. Sappiamo che fu un’occasione di grande arricchimento spirituale per Giuseppe Dossetti. La liturgia rimarrà sempre un cardine della sua vita.
Da quella settimana liturgica si iniziò a Reggio l’Adorazione Eucaristica quotidiana e continuata: prima nella chiesa di San Filippo poi a San Carlo, a San Giorgio e, oggi, nella Cripta del Duomo. Per l’apprezzamento e l’approfondimento della Sacra Scrittura, Giuseppe Dossetti trovò in Monsignor Leone Tondelli un maestro d’eccezione. I due fratelli Mercati, il Cardinale Giovanni e Monsignor Angelo, in quegli anni erano già a Roma successivamente prefetti della Biblioteca Vaticana: due giganti che avevano spaziato in tutti i settori della teologia biblica, patristica e della storia della chiesa. A Reggio continuava la docenza dei Mercati Monsignor L. Tondelli storico della chiesa medioevale ma specialmente biblista profondo e aggiornato. Negli anni fine ’30 e primi ’40 Giuseppe Dossetti collaborò intensamente con Monsignor Tondelli per curare i così detti gruppi del Vangelo in cui veniva approfondita la lettura della Bibbia e i grandi misteri della fede cristiana. Le riunioni si tenevano nella biblioteca capitolare del Palazzo dei Canonici.
Si stava intanto deteriorando il rapporto tra il Vescovo Edoardo Brettoni e il suo Vicario Generale Monsignor Angelo Spadoni che nel ’38 sarà sollevato da ogni incarico. Don Dino era considerato ed era realmente molto legato a Monsignor Spadoni. Si era quindi consultato con il veronese Don Calabria da cui ebbe una direttiva chiara: sta con il Vescovo. Ma con sua sorpresa, Don Calabria, lo aveva anche avvisato che l’Oratorio di San Rocco avrebbe continuato si e no una decina d‘anni.
L’Oratorio verrà chiuso nel 1942.
Don Dino Torreggiani nel 1936 viene trasferito parroco di Santa Teresa e a condurre l’Oratorio e tutta la ricchezza delle sue prestazioni, saranno prima Don Ferdinando Tosi poi Don Ennio Caraffi. Anche GIUSEPPE DOSSETTI, che nel ’35 si era laureato in giurisprudenza a Bologna, si trasferisce all’Università Cattolica di Milano. In ogni fine settimana, però, egli era puntualmente in San Rocco collaborando con i nuovi dirigenti.
A Milano si aprivano per Giuseppe Dossetti nuovi e ben più ampi scenari.
Non che a Reggio mancassero ricordi storici capaci di ispirazione ma nei primi anni ’30 si era in pieno regime fascista. Dopo la Conciliazione c’erano stati contrasti fra i movimenti giovanili cattolici e il regime: vedi la “Non abbiamo bisogno” di Pio XI; poi ci i era aggiustati. A me sembra di capire che Giuseppe Dossetti avesse fino al ’36 vissuto una intensa vita spirituale ed ecclesiale poco attento ai temi politici; del resto fu sempre estraneo alla pur viva iniziativa giovanile dei GUF e dei Littoriali studenteschi fascisti.
A Milano con gli aggiornamenti disponibili in una grande università, gli si aprirono nuovi orizzonti e insieme nuove amicizie e collaborazioni. Ne avremo presto sentore. Una testimonianza di Ferdinando Simonelli, vecchio popolare e padre di Monsignor Prospero Simonelli, riferisce di incontri riservati, il sabato sera, presso casa Dossetti e presso l’ing. Alberto Toniolo (palazzo Rangone) nei quali si trattavano temi politici, già nel 39. E’ certo che nel 1941 a Milano, alla Cattolica, il reggiano Don Sergio Pignedoli, poi Cardinale, raccoglieva intorno a Dossetti un gruppo di universitari e si trattava di preparazione politica al futuro. Altri incontri di studenti universitari avvennero a Modena, nella parrocchia di San Pietro, intorno ai professori Dossetti e Antonio Amorth.
A Reggio già c’erano stati incontri, negli anni ’42 e ’43, nella canonica di Calerno, parroco don Domenico Alboni, presenti il professor Pasquale Marconi, Valentino Morini, Lina Cecchini, Giuseppe Dossetti, Don Prospero Simonelli, Don Angelo Cocconcelli. Già ci si poneva il tema del partito d’ispirazione cristiana e se si dovesse essere in piena continuità col Partito Popolare. Ci furono i primi dissensi.
A questo punto è necessario tenere sullo sfondo il ricordo dei radiomessaggi pronunciati durante la guerra da Papa Pio XII. Mentre ancora infuriava la guerra, quei discorsi invitavano a guardare al futuro,ad una società in cui la dignità inviolabile della persona umana si sarebbe finalmente affermata. Particolare riscontro ebbe il radiomessaggio del Natale 1942 in cui il Papa, superando la tradizionale indifferenza della Chiesa circa i diversi regimi politici e istituzionali degli stati, indicava nella democrazia l’ordinamento più consono allo sviluppo della persona umana. Nei primi giorni del gennaio ’43 si tenne a Roma il congresso dei laureati cattolici. Per Reggio parteciparono Valentino Morini, Emilio Taverna, e Lina Cecchini. Al ritorno riferirono che a Roma sulla base del radio messaggio di pochi giorni prima, fuori dai denti, si era parlato di temi politici. Nella primavera del ’43 furono a Reggio, per approfondire, in successivi incotri, il radiomessaggio del ’42, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taviani, Flaminio Pergolesi, Franco Feroldi, e propose una sua relazione Giuseppe Dossetti. Anche i parroci della città, convocati da Monsignor Tondelli ebbero modo di ascoltare una conversazione, con relative ipotesi e aggiornamenti, di Giuseppe Dossetti.
Dopo il 25 luglio ‘43 nella seconda metà di agosto per iniziativa di Padre Placido Piombini, tenne una conferenza al Cenacolo Francescano, Don Primo Mazzolari. Venne istituito un “centro patriottico” nel quale si decise di presentare al Prefetto Vittadini una specie di ultimatum perché il Governo Badoglio ponesse fine alla guerra; diversamente ci sarebbe stato uno sciopero generale. A presentare e illustrare la richiesta doveva essere Giuseppe Dossetti.
L’8 settembre travolse il progetto.
Intanto si stavano raccogliendo nella nostra montagna, autunno ’43, le prime formazioni partigiane. A Reggio si era costituito il CLN formato dai rappresentanti dei partiti politici, Giuseppe Dossetti fu subito presidente. Si riuniva nelle canoniche di San Francesco e di San Pellegrino. Il 9 gennaio ’44 don Cocconcelli e Giuseppe Dossetti incontrarono sempre a San Pellegrino, don Pasquino Borghi. Lo avvisarono che a Reggio tutti sapevano che in casa sua a Tapignola, comune di Villa Minozzo, erano ricoverati ragazzi inglesi, americani, australiani e russi e che egli stava quindi correndo un rischio gravissimo. Ebbero una risposta davvero evangelica: “quei ragazzi non li vuole nessuno; dove li metto?”
Il 30 gennaio, poche settimane dopo, Don Pasquino verrà fucilato dai fascisti al poligono di tiro.
Si era già avviata la lotta partigiana e anche Benigno-Dossetti dovette rifugiarsi in montagna, dove ritrovò il Dottor Pasquale Marconi, il fratello Ermanno, e dove arriverà anche don Angelo Cocconcelli e anche il capo partigiano Carlo, il sacerdote Don Domenico Orlandini e tanti altri.
La presenza di Benigno-Dossetti tra i partigiani aveva una preoccupazione fondamentale: prepararsi al futuro imminente della politica italiana. Si trattava anche di opporsi a una giustizia sommaria cui molti capi partigiani tendevano senza assicurarsi che venissero colpite persone veramente responsabili di delitti.
Ai primi del ’45 Dossetti-Benigno inviò una lettera ai parroci che suscitò molte perplessità. C’era l’invito, nei rapporti con il Partito comunista, a non affidarsi alle pubblicazioni allora diffuse tra i cattolici, perché non informate circa i cambiamenti intervenuti in quel partito. La lettera disorientò anche perché i comunisti e il loro comportamento li avevamo sotto gli occhi. Io penso che Benigno-
Dossetti, anche attraverso l’ascolto di radio straniere, si fosse fatto un’idea più informata circa la nuova strategia politica portata in Italia da Palmiro Togliatti.
Una testimonianza di Don Angelo Cocconcelli che era stato figlio spirituale di Monsignor Angelo Spadoni al quale rimaneva molto attaccato ci fa ben capire la solidità del pensiero e della spiritualità di Giuseppe Dossetti
Siamo nel 1947, Dossetti è onorevole e dice a Don Cocconcelli che la nostra fede è fondata su due pilastri: la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa; chi ne prescinde non è più cristiano e tanto meno cattolico.
Così la chiarezza con cui Dossetti sapeva guardare all’ideologia comunista è confermata dagli articoli che egli ebbe a scrivere, subito dopo la guerra, di aperta condanna del materialismo storico, del totalitarismo comunista. Un articolo, “Il traditore sono io”, ne è una testimonianza. In quell’articolo Dossetti, rivolgendosi al capo comunista Eros, dava il suo indirizzo di casa e invitava ad andare a prelevare lui che si confessava come il vero traditore della resistenza.
Verranno poi gli impegni di carattere politico, parlamentare, costituzionale di Giuseppe Dossetti che altri sapranno illustrare meglio di me.
Un altro grande amico di Dossetti fu Monsignor Mario Prandi. Si sono incontrati, pare, soltanto durante la guerra di liberazione in montagna.
Si sono frequentati solo dopo la guerra.
Don Mario Prandi aveva fondato le Case della Carità. Il suo Ospizio, su a Fontanaluccia, durante la guerra, aveva accolto affamati, feriti, sbandati, di ogni razza e religione. Anche a Fontanaluccia, dunque, una grande esperienza di carità evangelica.
Giuseppe Dossetti apprezzava l’origine e la collocazione parrocchiale delle Case della Carità e ha sempre prestato alle Case della Carità, alle Suore e ai Fratelli delle Case, attenzione e ammirazione. Più tardi da sacerdote detterà più volte gli esercizi spirituali alle Suore e ai Fratelli.
Il restauro del Santuario della Madonna della Neve a Pietravolta, un signor restauro, venne praticamente pagato con gli stipendi dell’onorevole Giuseppe Dossetti
Un altro sacerdote reggiano con cui Don Dossetti ebbe rapporti profondi fu Don Giovanni Reverberi parroco di San Giovanni di Querciola. A San Giovanni venne aperta, dopo la guerra, la seconda Casa della Carità. E anch’essa ebbe grande aiuto dall’onorevole.
Per raccogliersi, pregare e digiunare era spesso ospite nella ascetica canonica di Don Reverberi.
La fine della guerra aveva portato a Reggio anche il nuovo Vescovo, Monsignor Beniamino Socche. Monsignor Socche e Giuseppe Dossetti erano due cristiani di altissima spiritualità. Monsignor Socche nelle sue mediazioni sapeva mettere in ginocchio perfino i preti. Ma i due uomini erano incompatibili. Parlarne oltre richiederebbe troppo tempo. Grande stima reciproca ma scarsissime convergenze. Per di più le circostanze del momento e le rispettive responsabilità – dopo la liberazione erano stati uccisi tra gli altri anche due sacerdoti: don Carlo Terenziani e don Umberto Pessina – contribuirono a farli distanti. Certo c’era in Monsignor Socche una intuizione e una aderenza all’anima popolare e relativa religiosità, che forse mancava al più elitario Dossetti. Le indimenticabili “peregrinatio Mariae” ne sono conferma.
Il 1952 fu per Giuseppe Dossetti un anno di svolta: si dimise da ogni incarico politico di partito e si trasferì da Reggio a Bologna, dove era appena arrivato da Ravenna anche Monsignor Giacomo Lercaro, poi Cardinale. Si erano incontrati la prima volta a Subiaco nel 1947 in occasione di una giornata di spiritualità per i parlamentari. Si ritrovavano ora più stabilmente a Bologna. Dossetti, dopo quanto aveva rappresentato in quegli anni per noi reggiani, avvertì forse il bisogno di un nuovo ambiente; poi le sue nuove prospettive culturali – si pensi al “Centro di documentazione” – gli facevano certo preferire il grande centro universitario di Bologna e probabilmente qualche influenza ebbero i diversi rapporti personali con Monsignor Socche a Reggio e Monsignor Lercaro a Bologna.
Però a Reggio, in seminario, alla Congregazione Presbiterale di Felina, ospite degli amici dossettiani, a San Giovanni di Querciola, a Fontanaluccia è sempre ritornato disponibile e cordiale. C’erano stati a Reggio, intorno alla sua persona, dissensi e anche polemiche dure. Ma dove mai Giuseppe Dossetti non aveva incontrato, a Milano, Roma, Bologna, queste stesse difficoltà? Gli uomini di solito vivono appiattiti sul momento presente e i suoi problemi; ma ci sono persone, come Dossetti, che le cose le vedono prospettate nel futuro. Non è la stessa cosa.
Forse è il caso di parlare di attitudine profetica.
Nessuna intenzione di prospettare qui una sintesi della spiritualità di Don Giuseppe Dossetti. Credo però vada meglio compresa la sua scelta monastica.
In pieno secolo ventesimo, quella scelta, ha significato una rivalutazione e un recupero “ab imis” di tutta la storia della Chiesa come Corpo Mistico, delle definizioni del mistero cristiano e cristologico nei primi Concili, dell’attualizzazione del mistero nella liturgia e dei termini imprescindibili dell’esistenza cristiana; la professione monastica come segno e anticipazione dell’esito escatologico della vita umana, ma, questo premeva assai a Don Giuseppe, come richiamo ed esempio perché tutta la vita, in ogni sua espressione, diventi preghiera, eulogia e per Cristo, con Cristo e in Cristo, Eucaristia.
Il 29 giugno 1954 Giuseppe Dossetti, ancora laico, scrive: “La Messa è perché io offra tutto e tutti e mi offra tutto, perché il Signore venga e bruci in me ogni residuo di creatura e non resti che Lui. Questa è la vita monastica: la gioia perpetua di questo ritorno eucaristico al Padre, non solo di un momento ma di tutta la giornata, non solo di una azione isolata ma di tutti gli atti anche i più piccoli.”