Gabriella Zarri

Gabriella Zarri, presidente della Gioventù femminile dell’AC bolognese 1964-68, ordinario di Storia Moderna all’Università di Firenze, ritorna sul ruolo di Dossetti per la vita diocesana e sulla troppo breve durata di quella stagione: la lectio divina a Monteveglio, la diffusione del rinnovamento teologico e pastorale conciliare, la ricerca sull’identità spirituale della chiesa bolognese.

Don Dossetti Pro-Vicario

 

Ero ancora adolescente quando sentii parlare per la prima volta di don Dossetti. Doveva essere il 1957. Da alcuni anni andavo abitualmente durante l’estate a Trassasso, una piccola frazione di Monzuno sull’Appennino bolognese, dove la Gioventù femminile di Azione Cattolica teneva ogni anno i suoi Campi scuola. Dalla casa e dalla chiesa si poteva ammirare il bel panorama della valle del Savena, sul cui alveo svettava il campanile della chiesetta di Sant’Andrea. Proprio in quella chiesa, allora priva di parroco, trascorreva un periodo di preghiera e solitudine la prima comunità di don Dossetti, che aveva iniziato il suo cammino monastico con un piccolo nucleo di persone che condividevano la regola della Piccola Famiglia dell’Annunziata, da lui composta e approvata dalle autorità ecclesiastiche nel dicembre 1955.

Quella presenza doveva costituire una speranza e un motivo di arricchimento della comunità diocesana perché l’assistente spirituale del campo scuola estivo un pomeriggio mi spiegò che laggiù sul fiume c’era una comunità di uomini e donne che pregavano e studiavano e che quella doveva essere la mia vocazione. Avevo quindici anni e la cosa non mi piacque affatto. Non avrei pensato allora che, non per la via perentoriamente indicatami dal pio assistente, ma per strade diverse, avrei dovuto più tardi incontrarmi davvero con don Dossetti.

Mi avvicinai dapprima al Centro di documentazione, la biblioteca da lui fondata in via San Vitale (da cui nacque la Piccola Famiglia dell’Annunziata), come centro teologico e spirituale gestito da poche persone amiche o consacrate alla vita religiosa, e divenuta più tardi, con l’approvazione e l’appoggio del Cardinal Giacomo Lercaro, un istituto specializzato negli studi religiosi. Il Centro divenne fucina di idee e di progetti scientifici, crocevia di studiosi che si impegnarono attivamente nella collaborazione all’Arcivescovo di Bologna e a don Dossetti nella fase di preparazione e di attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II. Furono anni di un lavoro intensissimo e di grandi aperture culturali, favorite anche dalle diverse personalità che si susseguivano al Centro di documentazione, il cui deposito librario andava sempre più arricchendosi e specializzandosi. Nel 1964 io iniziavo appena la tesi di laurea e cominciai a dividere il mio tempo tra il lavoro, lo studio e l’Azione Cattolica. Fu al Centro di documentazione che conobbi don Dossetti e suor Agnese, la sorella che succedette alla prima responsabile della comunità (Madre Agnese Dossetti) e che fu poi per lungo tempo la guida delle monache.

Dopo il 1960 la Piccola Famiglia dell’Annunziata si era stabilita a Monteveglio, crescendo in numero. Le sorelle erano certamente più numerose. Inizialmente la loro provenienza prevalente era reggiana. A poco a poco se ne aggiunsero altre da Bologna stessa e da Modena.

Dopo il Concilio iniziarono le letture bibliche a Monteveglio tenute da don Dossetti e don Neri e l’affluenza di coloro che andavano lassù per imparare e pregare divenne sempre maggiore. Le suore offrivano anche ospitalità a chi avesse voluto trattenersi a pregare qualche giorno con la comunità. La lectio divina di Monteveglio divenne un esempio per tutta la chiesa bolognese.

Io ebbi l’avventura, chiamiamola così, di essere nominata Presidente della Gioventù femminile dell’Azione Cattolica bolognese nel 1964 e detenni la carica fino al 1968. Furono anni ricchissimi dal punto di vista culturale e spirituale non soltanto per lo svolgimento del Concilio, ma anche per il cambiamento istituzionale che stava avvenendo nell’Azione cattolica. I quattro rami della Gioventù femminile e maschile, delle donne e degli uomini, vennero soppressi e unificati sotto un unico Presidente diocesano. L’ordinamento tradizionale, pensato non soltanto per la pastorale parrocchiale, ma anche per l’evangelizzazione negli ambienti di studio e lavoro, venne a poco a poco abbandonato. L’Azione cattolica stessa venne considerata inutile, avendo come finalità la stessa che il Concilio assegnava ai laici come membri attivi della chiesa. Dopo la fine del Concilio il rinnovamento teologico e pastorale entusiasmò la chiesa Bolognese. Ci furono settimane e mesi di incontri nelle parrocchie di città e nei maggiori centri della Diocesi per presentare le costituzioni teologiche e i decreti conciliari. Ci fu soprattutto un serio progetto di applicazione del concilio nella chiesa bolognese.

Tornato a Bologna dopo diversi anni di assenza prolungata, il card. Lercaro non rinunciò all’intelligente consiglio di don Dossetti. Gli affidò anzi la riforma della Diocesi nominandolo pro-vicario. Il monaco ubbidiente ritornò alla vita attiva ed elaborò un progetto di riforma della chiesa alla cui attuazione dovevano partecipare anche i laici più impegnati. Egli istituì diverse commissioni costituite da laici con il compito di studiare le misure necessarie per rinnovare l’evangelizzazione. In questa occasione mi incontrai nuovamente con don Dossetti, .il quale mi destinò alla commissione che doveva occuparsi della riforma del clero.

Il lavoro non fu di lunga durata. La commissione, come le altre che dovevano affiancarla, decadde con l’accettazione papale delle dimissioni del Cardinal Lercaro nei primi mesi del 1968. Dossetti rinunciò agli incarichi pastorali in diocesi e si ritirò a Monteveglio per poi recarsi in Palestina pochi anni dopo

Un’ultima cosa mi lega ancora al ricordo di don Dossetti e della sua comunità: lo studio della spiritualità della chiesa bolognese. Pochi anni dopo la laurea io avevo infatti intrapreso il mio lavoro di ricerca come storica e avevo iniziato a studiare delle interessanti esperienze religiose nate nella diocesi di Bologna nel periodo del Concilio di Tento, a metà Cinquecento. Negli anni Settanta Dossetti stava maturando l’idea di un recupero dell’identità religiosa bolognese attraverso l’indagine sulle figure più significative vissute nella nostra chiesa in epoche diverse e attraverso l’approfondimento di modi di vivere religioso fiorite nella nostra diocesi nel passato. Fu per questo che mi invitò a presentare i miei studi a una delle sorelle che viveva in forma eremitica ai piedi del santuario della Madonna di San Luca, in una cella situata all’inizio del portico del Meloncello: suor Giovanna. Ci incontrammo alcune volte, essendoci per altro conosciute in tempi precedenti in Azione Cattolica. Negli anni Sessanta, infatti, Franca Bellei, poi suor Giovanna, era stata Presidente diocesana della GF di Modena. Allora invece viveva sola, in preghiera, in un luogo altamente significativo della tradizione religiosa di Bologna. La sorella era stata incaricata di leggere e studiare nello spirito di un radicamento della chiesa bolognese nella fede delle donne e degli uomini che ci avevano preceduti.

L’interesse di don Dossetti per l’ identità spirituale della chiesa bolognese si esplicitò infine nel discorso tenuto nella basilica di San Domenico il 21 ottobre 1986 sul tema “La chiesa di Bologna e il Concilio”. Pubblicato molti anni dopo (in Cristianesimo nella Storia, anno XXIV), il testo circolò manoscritto: troppo poco per alimentare un movimento che intendesse proseguire una pista impegnativa come quella dell’identità spirituale di una chiesa particolare; pista per altro apparentemente lontana dalla “Caritas”, quell’aspetto della vita della chiesa in cui si tende a compendiare l’essenza del cristianesimo, ma che troppo spesso confonde identità cristiana e impegno sociale.

 

[Gabriella Zarri]