In ricordo di don Giuseppe
“È da come parla delle realtà terrestri che comprendo se uno dimora nella luce divina”. Ripenso a questa affermazione di Simone Weil mentre mi interrogo sul lascito di don Giuseppe Dossetti nei confronti miei e di tanti della mia generazione. E ricordo in particolare tre momenti salienti.
Il primo – alla fine degli anni 70 – mentre il terrorismo favorisce in Italia la facile polarizzazione tra i “giusti” e gli “assassini” e don Giuseppe propone ai giovani, nella cripta della cattedrale, una rilettura dell’invito evangelico “Se non vi convertite perirete tutti” (Lc 13) in cui svaniscono tutte le presunzioni dell’essere “giusti” a favore di una comune responsabilità rispetto all’iniquità di quei “giorni cattivi”.
Il secondo è legato all’uscita nel 1986 della prefazione alle “Querce di Monte Sole” di Luciano Gherardi.
La lettura e la meditazione di quelle pagine straordinarie apre scenari inediti e profondi nell’interpretazione del nazismo, ci libera dai rituali stanchi di un antifascismo tanto declamato quanto superficiale e propone ai cristiani interrogativi e impegni ancora attuali e urgenti.
Per tanti di noi, soprattutto per chi allora svolgeva il servizio civile legato all’obiezione di coscienza, Monte Sole e la comunità di Dossetti diventano un irrinunciabile riferimento di pace.
Il terzo momento è legato al lunedì di Pasqua del 1994. All’interno della liturgia e prima del congedo don Giuseppe si alza e ci comunica la sua trepidazione per l’esito delle elezioni politiche vinte dalle formazioni politiche di destra. A rischio – ci dice don Giuseppe – è la Costituzione e dunque il progetto di convivenza giusta che essa propone.
I mesi successivi diranno la fondatezza della sua previsione e motiveranno la sua straordinaria opera per difendere e attuare la Costituzione, un’opera i cui esiti di fecondità si sono resi ancora visibili in questi ultimi tempi. Non ho avuto frequenti contatti personali con don Giuseppe anche se spesso ci ha invitati a colazione dopo la messa mattutina che si celebrava al Meloncello. E l’unica volta in cui ho potuto parlargli personalmente, per un passaggio in auto che mi aveva chiesto, mi è venuto spontaneo ringraziarlo per questi orizzonti di pace che ci aveva aperti.
Don Giuseppe ascoltò, tacque e, salutandomi, frugò nelle tasche ed estrasse un libretto giallo con i discorsi di Lercaro sulla pace, pregandomi di accettarlo.
Conoscendo quei testi e le conseguenze che avevano avuto nella vita sua e del cardinale, ho considerato quel gesto un’espressione di amicizia di cui ancora gli sono grato.