Nato a Treviso il 23 novembre 1923 ma vissuto a lungo a Bologna, mons. Bettazzi ha conosciuto da vicino Dossetti e collaborato con lui in momenti di grande rilievo. Vescovo ausiliare di Bologna dal 1963 al 1966, ha partecipato al Concilio confrontandosi quotidianamente con il gruppo che affiancava il card. Lercaro. Anche dopo la sua nomina a vescovo di Ivrea ha sempre coltivato il legame di amicizia con Dossetti. In questo articolo scritto alla diocesi in sua memoria, ne ricorda la dirittura di coscienza e la coerenza, a costo di impopolarità, la fiducia nella forza della verità e quindi la particolare autorevolezza.
Don Giuseppe Dossetti, uno dei “papà” della Costituzione
È morto don Giuseppe Dossetti (15 dicembre 1996). Era ammalato da tempo, ma sempre lucido. Ed era più difficile incontrarlo per la precarietà della sua salute. Ero riuscito a salutarlo per pochi minuti dopo Pasqua, non ci ero riuscito quand’ero salito a Monte Sole con i nostri chierici.
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Si era tornato a parlare di lui in questi ultimi anni perché s’era trovato promotore di Comitati in difesa della Costituzione, nei tempi in cui c’era chi sembrava volerla cambiare a tutti i costi. E faceva tanto più meraviglia perché Dossetti, che aveva lasciato una brillante carriera politica (era stato membro della Costituente e vicesegretario nazionale della DC di De Gasperi) per fondare un istituto monastico e farsi sacerdote, ora usciva improvvisamente dal chiostro per un impegno così specificatamente «terreno».
Ma era stato protagonista dell’incontro e della collaborazione delle tre culture (cattolica, liberale, socialcomunista) per una Costituzione così equilibrata (e perciò così invidiata nel mondo), e temeva che essa potesse venire rimaneggiata con intenti meno solidali, favorevoli ai settori già più affermati o privilegiati.
Un altro impegno forte era stato quello di appoggiare il papa nell’appello alla pace alla vigilia della guerra del Golfo; e l’avevo incontrato allora nella residenza dei suoi monaci in Giordania, alle falde del Monte Nebo.
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Quando aveva lasciato la politica — per divergenze con De Gasperi, ritenuto forse troppo moderato o troppo dipendente dall’America — era venuto a Bologna (lui proveniva da Reggio Emilia e insegnava diritto ecclesiastico all’Università Cattolica di Milano), dove aveva fondato un Centro di documentazione religiosa e un istituto per preparare culturalmente i cristiani che volessero dedicarsi alla politica. Il card. Lercaro l’aveva poi obbligato a presentarsi come candidato a sindaco di Bologna: non aveva vinto, ma le giunte socialcomuniste per molti anni avevano applicato le intuizioni del Libro bianco preparato da lui e dai suoi collaboratori (tra cui il prof, Ardigò), a cominciare dalla divisione della città in quartieri, Poi si era ritirato con la Piccola Famiglia dell’Annunziata da lui fondata (alcune religiose e due o tre religiosi), prima presso il santuario di San Luca, in seguito nell’abbazia di Monteveglio, a una ventina di chilometri dalla città. Era stato ordinato sacerdote dal card. Lercaro, che lo volle suo «esperto» al concilio Vaticano II, e fu di aiuto determinante non solo nella preparazione dei discorsi, ma anche nell’arte di muoversi tra le schermaglie dei regolamenti conciliari, spesso utilizzati per soffocare sul nascere le aperture più nuove prospettate da alcuni episcopati o da singoli vescovi. Nel pomeriggio, insieme a Raniero La Valle, riassumevano l’andamento della mattinata, pubblicando poi su L’Avvenire d’Italia, stampato allora a Bologna e diretto dal La Valle, relazioni documentate e stimolanti che facevano conoscere al mondo esterno (ma, spesso… anche a noi vescovi) quanto era avvenuto nell’aula conciliare.
Erano significativi i santi protettori dell’Istituto: accanto all’Annunziata, la Madonna del «sì» e dell’incarnazione, sant’Ignazio di Antiochia pioniere delle Chiese particolari, san Benedetto fondatore della vita monastica, san Francesco d’Assisi maestro di povertà e di lettura della Bibbia sine glossa (cioè senza commenti giuridici), santa Teresa del Bambin Gesù maestra di «infanzia spirituale».
Col card. Lercaro s’era dedicato soprattutto allo sviluppo della Chiesa particolare bolognese; e il cardinale lo apprezzava e lo amava per i suggerimenti preziosi e nello stesso tempo per un’obbedienza pronta e sincera. L’aveva fatto vicario generale dopo la mia partenza: pare anzi che avesse insistito con Paolo VI per averlo come successore sulla cattedra di san Petronio. Con il card. Poma aveva invece accentuato l’attenzione all’incontro tra le grandi religioni, con insediamenti e lunghe permanenze in Israele e in Giordania. Più di una volta aveva accettato di parlare ai nostri preti o a un nostro pellegrinaggio.
Quando la diocesi di Bologna aveva fatto memoria dei sacerdoti e della gente (bambini, donne, anziani) assassinati dai tedeschi nelle chiese e nei cimiteri di Monte Sole, la montagna sopra Marzabotto, don Dossetti aveva accettato di insediarsi con una comunità maschile in una cascina ristrutturata e di prepararne una non lontana per una comunità femminile, perché vi fossero testimoni di fede e di preghiera dove s’era sparso tanto sangue innocente. E in quel cimitero, dove erano state uccise e sepolte tante vittime della barbarie, ha chiesto di riposare per sempre.
La sua famiglia religiosa (una ventina di monaci, una sessantina di monache) si nutre di parola di Dio (due ore di meditazione al giorno) e di preghiera, e vive nella povertà e nella semplicità mentre colloquia e studia nelle principali lingue antiche e moderne gli approfondimenti e i commenti della sacra Scrittura. Ne abbiamo avuto testimonianza, nella preparazione al nostro recente sinodo, attraverso la parola del monaco don Umberto Neri.
Quello che ho sempre ammirato in don Dossetti è stata la sua dirittura di coscienza, la sua coerenza, mai piegata a smussature, quindi pronta sempre a sentirsi contestata o in minoranza, ma sempre fiduciosa nella forza della verità. In minoranza nel partito, spesso anche nella Chiesa, la sua voce era però particolarmente autorevole, e imponeva quanto meno riflessione e valutazioni serie.
Il suo ricordo, il suo esempio, la sua amicizia ci aiutino.
(pubblicato in Il risveglio popolare, settimanale della diocesi di Ivrea, 19 dicembre 1996)