Piergiorgio Maiardi, importante figura del Centro di documentazione e promozione familiare G.P. Dorè (Bologna), unisce il ricordo di Lercaro e Dossetti. Temi: la trasmissione del senso ecclesiale, la rinuncia all’affermazione personale, autorevolezza e discrezione, il valore attuale della stagione post-conciliare.
Memoria della Chiesa nel tempo di Giuseppe Dossetti
Credo di poter dire di aver capito la Chiesa attraverso l’incontro con il card. Giacomo Lercaro e con don Giuseppe Dossetti – erano gli anni della mia adolescenza e, quindi, della mia giovinezza – e di averne vissuto direttamente l’esperienza attraverso l’Azione Cattolica.
Lercaro e Dossetti, due personalità molto diverse ma, entrambi, con un profondo senso della Chiesa: l’immagine della sposa senza macchia e senza rughe e quella del “popolo santo della Chiesa che è in Bologna”, erano costantemente sulle labbra di Lercaro che, ricordo, affermava che avrebbe preferito sbagliare con la Chiesa piuttosto che esserne fuori. E fu ampiamente condiviso l’entusiasmo per la liturgia riscoperta e vissuta intensamente: io vivo ancora di rendita sugli effetti provocati in me dalla missione “a Messa figlioli” che ha preceduto gli anni del Concilio.
E Giuseppe Dossetti completa questa immagine della Chiesa con la centralità della Parola di Dio, anche questa sperimentata fin dagli anni precedenti il Concilio. Una Parola che, prima che oggetto di studio, è vista come l’alimento di fondo per la vita di fede, e quindi destinata a tutti i credenti, accessibile a tutti e ognuno deve avere con la Parola “un rapporto forte, continuo, costruito, immediato, diretto, senza complessità e senza complessi” (Dossetti, 15 maggio 1977).
Il rapporto con la Parola, sperimentato con Dossetti, è stato sempre vissuto in un contesto pienamente ecclesiale, mai come fine a se stesso o magari in contestazione, in contrapposizione o critica nei confronti di qualcuno o di qualcosa.
Ricordo con un po’ di rimpianto, per non averle frequentate con maggiore assiduità, alcune celebrazioni della Parola, sulle letture della domenica, vissute il sabato pomeriggio a Monteveglio e ricordo l’esperienza di alcuni giorni trascorsi presso l’Abbazia nel 1962 recitando con i monaci i salmi delle Ore, letti su salteri voluminosi costruiti a mano incollando le traduzioni italiane della Scrittura. Non c’era ancora la traduzione italiana della CEI e Dossetti usava la piccola Bibbia tascabile edita dalla Casa Editrice Fiorentina, nella traduzione di Fulvio Nardoni.
Ricordo quel libricino aperto nelle mani di Dossetti durante un corso di esercizi spirituali vissuto a Monteveglio con un gruppo di giovani dell’Azione Cattolica. E alla vigilia della mia partenza per il servizio militare (ma non ero più giovanissimo….), io e Maria, la mia futura sposa, ci regalammo reciprocamente la Bibbia tascabile dell’editrice Fiorentina che mi accompagnò durante il periodo di quel servizio e che, piuttosto logora, conserviamo tuttora.
Della lettura biblica di Dossetti non ricordo erudite spiegazioni esegetiche quanto piuttosto l’intento di rendere viva ed attuale la Parola che è destinata ad ogni credente, entrando nel profondo di ciascuno, e che deve essere quindi avvicinata con atteggiamento di preghiera: ricordo sempre l’invito di Dossetti a “lavorare di ginocchia” per comprendere la Scrittura, perché è lo Spirito che ci conduce alla rivelazione della “sapienza di Dio che è nel mistero”, come dice S.Paolo.
Questo approccio alla Parola mi ha lasciato la convinzione che nelle nostre comunità ecclesiali si dovrebbe trovare lo spazio ed il tempo per una maggiore assiduità di incontro con la Parola, non necessariamente con la presenza di “maestri”, per rileggere la Parola annunciata, riflettere, pregare e scambiarsi le intuizioni e le sollecitazioni che lo Spirito suggerisce ad ognuno: da qui credo, più che da una identità statica, nasca la originalità dei credenti e la loro capacità di portare la novità.
E l’autorevolezza di Dossetti, così come io l’ho percepita, veniva proprio dalla sensazione di un uomo che si fa obbediente alla Parola rinunciando, quindi, ad ogni desiderio di affermazione personale e di immagine: una scelta esigente che non ammette superficialità e che richiede obbedienza interiore. È probabilmente questa autorevolezza che ha impedito a me di stabilire un rapporto personale diretto con Dossetti: io lo osservavo con rispetto e con un po’ di timidezza e aspettavo che fosse lui ad assumere l’iniziativa, cosa che non avvenne mai, pur avendo avuto diverse occasioni di incontro, a motivo, credo, della sua estrema discrezione e di ciò porto tuttora un po’ di rammarico.
Anche il Dossetti della esperienza amministrativa pubblica del 1956 è un Dossetti obbediente: accetta di vivere quella esperienza in obbedienza al suo Vescovo, ma la vive impegnandovi tutto se stesso e, prima di candidarsi ad un ruolo pubblico, vuole il mandato esplicito di un’assemblea pubblica convocata nella sala Borsa. E con Dossetti la Bibbia entra anche in Consiglio comunale! Il Vangelo farà poi il suo ingresso ufficiale in Palazzo D’Accursio in anni successivi, quando Lercaro ricevette la cittadinanza onoraria e si rese disponibile a recarsi, per incontri evangelici, nei nuclei di Quartiere.
In obbedienza e spirito ecclesiale viene vissuto da Dossetti anche il temporaneo abbandono della vita monastica per servire più da vicino il Vescovo e la Chiesa diocesana. Non è mai stato recepito dall’esterno un rifiuto, una ribellione, una resistenza irriducibile di don Dossetti alle autorevoli chiamate della sua Chiesa.
Della mia esperienza ecclesiale di quel tempo ho il ricordo, che mi ha segnato, di una Chiesa viva che, attorno a due riferimenti forti e sicuri, come la Parola e l’Eucaristia, suscita interesse, produce e trasmette vitalità e coinvolge, soprattutto, le generazioni più giovani.
Una Chiesa, quella di Bologna, che, con Lercaro e Dossetti, ha precorso il Concilio e che probabilmente ne ha avvertito e compreso il messaggio prima di altri e con maggiore pienezza: può esserne un segno l’entusiasmo che in me destò la Costituzione “Lumen Gentium”, quella sulla Chiesa, prima ed in misura maggiore rispetto alle altre Costituzioni. Con l’Azione Cattolica, soprattutto dei giovani, ce ne facemmo messaggeri nelle Parrocchie non rendendoci conto, forse fino in fondo, che quella realtà di Chiesa, comunità di battezzati con la medesima chiamata e la medesima dignità, avrebbe obbligato l’Azione Cattolica a ripensare la sua presenza nelle comunità ecclesiali rispetto all’identità ed al ruolo che avevano fino ad allora caratterizzato l’associazione. Ma credo che ne sia valsa la pena!
Il tempo di Lercaro e di Dossetti è un tempo della nostra Chiesa e, come tale, non può andare perduto: caratteristica, infatti, della Chiesa è anche raccogliere, conservare e trasmettere nel tempo le diverse esperienze vissute in particolari stagioni della sua vita, perché nulla si perda e tutto continui a portare frutto. Credo che questa sia una delle ricchezze della Chiesa di cui, però, ritengo che ognuno di noi, che ne è stato testimone, debba rendersi responsabile.
[Pier Giorgio Maiardi]