2000 – R. Menighetti, Giuseppe Dossetti. Alle radici della Costituzione.

R. Menighetti, Giuseppe Dossetti. Alle radici della Costituzione

in «Rocca» (2000)
Pro Civitate Christiana Assisi (PG)

Testo

Inizia da questo numero la presentazione dei più significativi estensori della Costituzione italiana.
Di diversa estrazione culturale, ideologica e partitica, attraverso il loro impegno e le loro idealità, «Rocca» intende rivisitare il dibattito e i valori condivisi che a suo tempo ispirarono i fondamenti della Repubblica

di Romolo Menighetti

Dossetti pare non avesse grande simpatia per il mestiere di giornalista. Avvicinato da Enzo Biagi nel 1971, al qualificarsi di questi come «giornalista e peccatore» il santuomo rispose essere la prima qualifica ben più grave della seconda. Alla disponibilità, poi espressa da Biagi, a fare qualcosa per lui, rispose lapidario: «Non scriva».

La statura e la dimensione profetica di Dossetti scaturisce dalla sua radicalità evangelica (che è cosa del tutto diversa dal fondamentalismo e dall’integralismo). Egli pone l’Incarnazione – Dio che irrompe nella storia –  come l’avvenimento storico fondamentale, il fatto in assoluto più importante con il quale l’uomo e l’umanità sono chiamati a fare i conti, e al quale tutto deve essere subordinato e gerarchizzato.

L’evento Incarnazione induce Dossetti a compattare la scelta di fondo della sua esistenza nel rendere lode a Dio per l’amore misericordioso mostrato all’umanità, anche se il «dovere dell’ora» lo porta spesso a impegnarsi nel contingente e nell’immediato. Appena però l’ «ora» perde il suo carattere d’urgenza e di priorità, la bussola della sua vita lo riporta verso la preghiera.

Un siffatto rigore ha fatto di lui una personalità eminente, sulla quale vennero a gravare molteplici responsabilità su più fronti: queste però non intaccarono la compattezza sostanziale della sua vita. La  vocazione alla preghiera gli diede modo di esprimere per più di quarant’anni una delle testimonianze più elevate della fecondità della fede nella storia del paese.

Figura notevole e innovatrice sia nella vita politico-istituzionale che in quella ecclesiale, fu punto di riferimento all’Assemblea Costituente e nei momenti decisivi del Concilio Vaticano II. Leader politico ma anche rinnovatore della vita religiosa, unì mondi lontani e mescolò competenze come pochi: capo della Resistenza e monaco, architetto costituzionale e raffinato politico, nonché teologo, al Concilio; ha pregato e studiato per anni in Palestina e sull’appennino bolognese; ha dialogato con i comunisti e con l’Islam. In una stagione culturale in cui imperversa il «pensiero debole» resta ancora portatore di un «pensiero forte». Nell’attenzione al particolare, ha sempre mantenuto il senso della totalità e dell’organicità.

La nostra lettura del personaggio partirà dunque dalla considerazione della sua vocazione fondamentale, l’orazione. Un’orazione non intimistica, ma ben radicata nella Chiesa, impasto di divino e umano.

Il suo intuito lo porta ben presto a vedere nella riforma della Chiesa un punto di passaggio chiave per riformare la società, quella società nella cui pasta il «dovere dell’ora» lo chiamerà diverse volte a mettere le mani, sempre da protagonista: nel momento decisivo della lotta antifascista, quando si tratta di gettare le basi costituzionali della neonata Repubblica, negli anni in cui ai partiti di massa è affidato il compito di consolidare la giovane democrazia e quando, poco prima della sua morte, interessi particolari tenteranno di minare alla base il patto fondamentale della solidarietà e della convivenza nazionale; e, infine, nel momento in cui i venti di guerra in Medio oriente risveglieranno quegli incubi che gli uomini della sua generazione hanno ancora ben impressi nella memoria.

Percorrendo questa traccia penso non sarà difficile cogliere i bagliori della profezia con cui Dossetti ha illuminato ed arricchito cronaca e storia.

la vocazione fondamentale

Già all’indomani del 25 aprile1945 manifesta l’intenzione di farsi prete, ma la realtà del dopo Liberazione lo induce a mantenere il proprio posto di responsabilità entro il Comitato di Liberazione Nazionale reggiano. Meno di tre anni dopo, avuto sentore di una sua candidatura alle elezioni politiche dell’aprile 1948, intende rifiutarla, ed è necessario l’intervento di Pio XII per farlo desistere dalla rinuncia.

Solo nel 1956 riuscirà a pronunciare i voti monastici entro la Piccola Famiglia dell’Annunziata, da lui fondata, mentre dovrà aspettare il 1959 per venire ordinato sacerdote.

Scorrendo la cronologia di Dossetti si nota che la prua della sua esistenza è sempre orientata verso la vita consacrata e la preghiera. Impegno ed attività sono caratterizzati da passaggi da una dimensione all’altra, scanditi da frequenti dimissioni, che in realtà altro non sono che cambiamenti di rotta per mantenere l’orientamento verso lo stato che ritiene essere la sua vocazione fondamentale.

spiritualità incarnata

Egli non si sente fuori dal mondo, neppure nei momenti culminanti della sua vita di preghiera, al punto che non gradisce configurarsi come «contemplativo»: «Trovo più rispondente alla mia convinzione e alla mia esperienza dirmi semplicemente ‘fratello’, ‘cristiano’ che ‘ha zelo di Dio’, che si propone di vivere in modo coerente e radicale il suo battesimo». «Io non voglio vedere Cristo qui sulla terra».

Sul Monte Sole o nel Medio o nell’Estremo oriente egli vive la centralità dell’orazione come consacrazione del flusso del tempo, come lode incessante al Creatore e Redentore, come intercessione cosmica per il mondo degli uomini. È ben radicato nella comunità ecclesiale locale e universale, e la sua liturgia è la preghiera di tutta la Chiesa: «Ho cercato il ‘nome incomunicabile’ in mezzo all’assemblea, non in una chiesuola ritagliata secondo il mio gusto, e neppure nel segreto della mia anima».

Egli prega sempre, entro la pratica della lettura continua della Bibbia. Come gli antichi la «rumina», attraverso un approccio credente ed orante, memore e amante, al di là della fredda lettura scientifica. Vive l’eucaristia come immersione totale nella creazione, nell’uomo, nella storia umana, nel Cristo, nella Grazia, nella Redenzione e in Dio. La vita monastica, proprio perché distaccata da ogni curiosità verso il transeunte e la cronaca quotidiana, è sempre comunione, non solo con l’eterno ma con tutta la storia, quella vera, non curiosa, la storia della salvezza, di tutti, soprattutto degli umili, dei ‘senza storia’, anche sconosciuti, anche morti».

L’uomo di preghiera – prosegue Dossetti – grazie a questa immersione totale in Dio e nella storia, può portare un suo particolare «valore aggiunto» alla società.

Egli, monaco che entro la sua piccola comunità cerca un equilibrio di convivenza nella carità con i confratelli, riflette nella propria coscienza i grandi conflitti del pianeta, che sono anch’essi una ricerca di convivenza rispettosa di tutti. È cosciente che a seconda di come risolve il conflitto con il fratello che gli vive accanto nel cenobio, dà il suo contributo, positivo o negativo, alla salvezza storica del mondo, minacciato dalle sue divisioni. Perciò per mantenere la coscienza di questa solidarietà tra il piccolissimo e l’universale, colloca sue comunità in uno dei punti più caldi del pianeta, a Gerusalemme e in Giordania. Egli stesso ci abitò per diversi anni, al fine di vivere, nella sua stessa coscienza, l’urto delle ragioni opposte che promanavano da un lato dalla memoria dello sterminio degli ebrei e della consonanza con la grande tradizione ebraica, e dall’altro dall’ingiustizia che il mondo intero, prima e più dello stato d’Israele, continua a perpetuare nei confronti degli arabi palestinesi.

L’anello di congiunzione tra il Dossetti politico e il Dossetti uomo di fede, che ne fa un tutt’uno armonico ed organico, è la Chiesa, nella cui riforma egli vede il punto di passaggio obbligato per la riforma della società.

Chiesa e società

Il radicamento nella Chiesa per Dossetti è premessa indispensabile e condizione fondamentale per il suo dialogo con Dio e per un’efficace azione di fermento evangelico nella società politica e civile.

Dossetti è per una Chiesa che si interessa così tanto al mondo da volerlo colmare di contenuti evangelici. Però è sostanzialmente contrario a una visione di Chiesa mondanizzata. Il suo radicalismo evangelico si contrappone al neo-temporalismo non nel fine (entrambi gli orientamenti mirano a una società radicalmente rinnovata), ma nei mezzi. Egli pensa a una Chiesa che operi nella società non con i mezzi del potere terreno, che la paganizzerebbero, e nemmeno con l’attivismo del dialogo facile che considera le battaglie umanistiche come naturalmente cristiane, non necessitanti perciò di uno sforzo per intromettervi lo specifico evangelico. La Chiesa per Dossetti non scende nel campo sociale e politico con l’intento di sostituirsi ai poteri di questo mondo, ma vi entra profeticamente, con la sola forza della Parola di Dio.

In questo senso la testimonianza di Dossetti è sempre rigorosamente evangelica, anche nel linguaggio. L’analisi delle varie situazioni è sempre condotta con rigore scritturistico, specie quando parla della povertà e della pace, temi particolarmente esposti a contaminazioni con le tesi di tanti occasionali compagni di strada. Egli crede nell’efficacia storica della Parola di Dio, un’efficacia di ben altro genere rispetto a quella delle alleanze politiche e dei relativi mezzi terreni.

Circa la sua visione della Chiesa all’interno, questa può sinteticamente riassumersi nell’obbedienza, vissuta come forma suprema di rinunzia al rivendicazionismo di un potere personale. L’obbedienza dunque come espressione radicale di povertà, povertà che per Dossetti è parte della struttura stessa e della forza della Chiesa.

Al di fuori di queste linee – osserva Dossetti –  potrebbe instaurarsi, ed è quello che è già accaduto, un rapporto sinergico in negativo, cioè una corresponsabilità riguardo al male che c’è nel mondo. Dunque la Chiesa non può porsi solo come fustigatrice della società, ma è necessario ponga mano al suo stesso rinnovamento, onde attivare un circuito virtuoso nel mondo.

Diceva nel 1953 a Milano: «Sono convinto che esistono dei rapporti tra la catastroficità della situazione civile e la criticità del mondo ecclesiale». Dossetti fa derivare la criticità ecclesiale dal prolungarsi per secoli di una prassi semipelagiana. Ciò lo induce a dedicare il resto della sua vita nel tentativo di correggere gli abiti attivistici di un certo cattolicesimo, colpevole «di attribuire all’azione e all’iniziativa degli uomini rispetto alla Grazia, un valore di nove decimi». Contemporaneamente è spinto a cercare nella grande tradizione della Chiesa i momenti privilegiati che le avevano permesso di superare altre gravi situazioni. Da qui la sua particolare attenzione ai Concili passati.

protagonista al Vaticano II

È perciò naturale per lui cogliere il Concilio come occasione privilegiata per avviare la riforma nella Chiesa.  Egli mobilita gli studiosi del suo Istituto per le Scienze Religiose – un centro di ricerca a carattere rigorosamente scientifico nel campo delle scienze religiose mirato a rinnovare, a livello della riflessione critica, la consapevolezza della Chiesa su se stessa – onde fornire ai padri conciliari un primo servizio con la raccolta in volume di tutte le decisioni dei Concili ecumenici.

Dossetti poi, nel corso dei lavori conciliari, immette attraverso la collaborazione con l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo Lercaro, il suo eccezionale intuito storico, la sua singolare cultura teologica e canonistica, nonché l’eccezionale esperienza procedurale da lui maturata con la passata attività costituente e parlamentare, che ben pochi possedevano nell’ambito ecclesiastico. Egli contribuisce così alla riforma del regolamento del Concilio – sua è la proposta di istituire il collegio dei quattro moderatori – che permette ai lavori di superare momenti di pericoloso stallo. Si adopera anche affinché i diritti dell’Assemblea non vengano lesi da parte della Curia. Sempre con accorgimenti procedurali contribuisce a dissipare il clima di profondo dissenso che si era venuto a creare durante la discussione sulla dottrina dell’episcopato.

Grande è anche il suo contributo a livello propriamente teologico. Redige memorie per Lercaro, per Luigi Bettazzi, ausiliare di Bologna, per il cardinale Leon Joseph Suenens, arcivescovo di Malines-Bruxelles, e per altri Padri relativamente ai temi della Chiesa, dei vescovi e della povertà. Fa parte del gruppo di lavoro incaricato di dare la formulazione definitiva ai testi approvati dall’Assemblea, in modo che la loro solenne promulgazione non appaia come atto esclusivamente papale, ma atto congiunto del Papa e dei Padri conciliari.

L’importanza del ruolo svolto da Dossetti durante il Concilio lo si deduce anche dalla qualità e quantità di citazioni a lui relative che si riscontrano nel diario conciliare del teologo francese Dominique Chenu.

Di non minore importanza è il coinvolgimento ecclesiale, assolutamente nuovo nella Chiesa italiana, che Dossetti seppe porre in atto, facendo partecipi alla sua collaborazione con Lercaro, oltre ai laici del suo Istituto di scienze religiose, la propria famiglia monastica, e il quotidiano cattolico «L’Avvenire d’Italia» diretto da Raniero La Valle.

A Concilio terminato, la sua valutazione non è del tutto positiva. Accanto all’apprezzamento per «le parole decisive e profonde restituite dal Concilio alle Chiese dopo secoli di quasi dimenticanza», non manca di rilevare i limiti che hanno gravato sui lavori: la poca sapienza biblica di molti discorsi assembleari, un atteggiamento diffuso di resistenza alla novità perenne del Vangelo, e «l’assenza di una esperienza spirituale» nei Vescovi «che a volte ha reso impossibile ogni ripensamento teologico». Costata poi scarsi risultati riguardo alla teologia del laicato nonché carenze in materia di ecumenismo e di collegialità.

la pace elusa

Ma è soprattutto circa il modo come il Concilio si è rapportato con il problema della pace che Dossetti esprime le sue più profonde perplessità. Commentando nell’ottobre 1966 il capitolo V della Gaudium et Spes, a fronte della mancata interdizione assoluta, ora, di qualsiasi ricorso alla guerra (il paragrafo 82 parla solo di «impegno a sforzarsi per preparare quel tempo nel quale si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra») non esitò ad affermare che «la Grazia e l’Evangelo avevano fatto naufragio». E prosegue: «Il discorso evangelico si è arrestato perché il documento non ha saputo dare la buona notizia che doveva annunciare. Vi sono certi nodi gordiani che non possono essere tagliati altro che con la spada della parola di Dio, al di là della riflessione teologica. Il problema della pace, eluso, resta come un peccato, un ostacolo alla Grazia e ai carismi».

E il suo rigore evangelico lo porta a considerare come «questo mancato pronunciamento magisteriale sul problema della guerra, ripropone la domanda sul rapporto tra l’Evangelo e la Grazia da un lato, e tra il mondo e la storia dall’altro. Il problema di una presenza efficace della Grazia nella pasta dell’umanità e della storia nasce dalla nostra fedeltà alla fede nel Verbo fatto carne, e dal sapersi il cristiano assumersi le sue responsabilità evangeliche di fronte ai problemi veri dell’umanità, costino quel che costino, foss’anche l’incomprensione da parte di chi giudica dal punto di vista del quotidiano, o la perdita di ogni possibilità di potere, almeno in apparenza, sulla storia che si sta facendo in quel momento».

antifascismo e Resistenza

La vocazione fondamentale di Dossetti all’orazione si trova ad essere intersecata in diverse occasioni nel corso della sua vita da situazioni gravi ed impellenti, che lo inducono ad assumere impegni apparentemente poco confacenti alla sua aspirazione più profonda. La prima di queste situazioni si presenta negli ultimi anni della seconda guerra mondiale con la lotta di liberazione dal nazifascismo.

Dossetti incomincia a prendere contatti con l’antifascismo mentre è a Milano, verso la fine del 1942, frequentando il salotto di casa Padovani, nel quale si discute sui problemi politici del postfascismo.

Nella Resistenza, intesa come movimento attivo, si coinvolge in seguito al contatto con i suoi vecchi compagni d’infanzia, che ritrova nel paese del reggiano dove aveva vissuto da bambino. Una retata che decapita, nel dicembre 1944, la dirigenza del Comitato di Liberazione Nazionale di quella zona lo porta alla presidenza dello stesso, soprattutto per il prestigio personale. Un mese dopo sfugge all’arresto e ripara sull’appennino tra Modena e Reggio. Militante nelle «Brigate verdi» con il nome di battaglia «Benigno», media tra i dirigenti delle diverse formazioni presenti nell’area al fine di realizzare una unità di linea strategico-militare. Cura anche il giornaletto dei partigiani verdi «La Penna», e opera a livello di educazione politica.

Immediatamente dopo la liberazione viene riconfermato presidente del Cln. Egli vorrebbe rifiutare per abbracciare subito la strada del sacerdozio, ma accetta per fronteggiare le azioni arbitrarie dei comunisti e le uccisioni selvagge. Ricorda: «C’era da contenere queste azioni sanguinarie, quasi sempre ispirate a criteri di rappresaglia o di vendetta personale».

Dossetti sviluppò una lucidissima lettura del fenomeno fascista, analizzando le matrici che lo avevano generato e individuando le acquiescenze, anche in campo cattolico, che ne avevano consentito la crescita. Parlando a Milano nel 1951 afferma essere stato il fascismo «autobiografia della nazione, sbocco storico di tutta una serie di situazioni precedenti la cui radice va ricercata nella mancata modificazione dei rapporti strutturali».

Pochi anni prima della morte, nel 1994, a Pordenone, ripensando all’avvento del fascismo, forse impressionato dalle nuove derive plebiscitarie in atto nel Paese, ne parla come «di una grande farsa accompagnata da una diseducazione del nostro popolo: un grande inganno, seguito con illusione dalla maggioranza, che sempre più si lasciava fuorviare».

la Costituente

In quei convulsi e decisivi anni dell’immediato dopoguerra ogni ora è importante ai fini del futuro democratico del Paese. Un altro «dovere»  cui Dossetti non può sottrarsi è l’elaborazione della carta fondamentale dei diritti e dei doveri che sarà alla base della nuova Italia.

Il prestigio acquisito nella Resistenza e nel Cln, i brillanti risultati conseguiti come studioso del diritto (fu allievo di Carlo Arturo Jemolo e Cicu), fanno sì che venga chiamato, nel settembre 1945, a far parte della Consulta Nazionale, l’organo istituito per preparare l’Assemblea Costituente.

Eletto poi alla Costituente, vi si impegna avendo in mente un ben preciso progetto politico da realizzare: innanzitutto sancire la rottura netta e l’irreversibilità con il fascismo. Contemporaneamente, tendere al superamento della democrazia liberale prefascista al fine di approdare a una «democrazia sostanziale», con il pieno godimento per tutti dei diritti civili, sociali e politici, favorendo al massimo la partecipazione dei cittadini. Si batte per disegnare l’architettura del nuovo Stato a partire dai bisogni del Paese e non dalla paura dei comunisti. Perciò si impegna per una repubblica presidenziale, al fine di garantire stabilità ed efficienza ai futuri governi. La paura della vittoria delle sinistre però indusse la maggioranza dei democristiani a scegliere la repubblica parlamentare: un supergarantismo che sarà causa delle future ricorrenti paralisi a livello dell’esecutivo.

La sua ideologia costituente non lo porta a realizzare una Carta intesa come astratto modello giuridico di organizzazione dei poteri dello Stato, ma come l’incarnazione, in un contesto giuridico, di un indirizzo politico sulla base della «finalizzazione delle libertà», orientate cioè verso l’ideale etico-politico del primato della persona. Ed è proprio l’assunzione di questo principio che conferisce un carattere di profonda originalità alla nostra Costituzione rispetto alle altre dell’Occidente, configurando una riforma complessiva ed organica dello Stato, e non una pura somma di norme concrete.

Componente della sottocommissione su «i diritti e i doveri dei cittadini», elabora con Palmiro Togliatti la piattaforma personalistico-comunitaria che sta alla base di tutta la Carta. Orienta i principi che dovranno reggere i rapporti sociali ed economici in senso solidaristico. Stende il testo dell’articolo relativo al diritto di proprietà, ove le si attribuisce anche una funzione sociale. Formula la norma che vieta la ricostituzione del partito fascista, e fa inserire il riconoscimento giuridico dei partiti. Si batte per il «ripudio della guerra» e per i diritti economici.

Dossetti esprime una competenza, sostanziale e procedurale, che la maggior parte dei suoi interlocutori, e anche dei suoi amici di partito (con poche eccezioni), non conosce né gli riconosce.

lealtà verso lo Stato

Ma è soprattutto con i temi che interessano i rapporti con la

senza delle fedi religiose e della Chiesa cattolica nella società italiana) che Dossetti manifesta tutta la sua coerenza evangelica unita ad una assoluta lealtà verso lo stato laico. È un suo discorso all’Assemblea che fa da base all’approvazione dell’articolo 7. I suoi principi base sono la libertà piena e completa delle diverse confessioni, e la bilateralità dei rapporti Stato-Chiesa cattolica. Egli opera lealmente in modo da non intaccare la solidità del patto costituzionale, e solo entro questo contesto punta ad un esito soddisfacente anche per la Santa Sede. Si tratta di una posizione estremamente rigorosa, che non lascia spazio a compromessi e favoritismi. Proprio a causa di questa sua linea è oggetto di attacchi pubblici da parte di «Civiltà Cattolica».

metodo dialogico

Notevole è anche lo stile e il metodo di lavoro di Dossetti. C’è in lui la prevalenza dell’aspetto dialogico sulla preparazione libresca. Egli si confronta e collabora sia con coloro con i quali già esiste una sintonia di ideali (Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giuseppe Lazzati), e sia con esponenti di altre forze impegnati ad infondere il meglio di loro stessi e della loro radice storica nella redigenda Costituzione (Palmiro Togliatti e Lelio Basso). Il capo comunista non nascose mai il suo apprezzamento per Dossetti, il quale da parte sua, ripensando successivamente al confronto con il segretario del Pci, scrisse: «Pur nella netta diversità della concezione antrolopogica e politica, molto mi arricchì con la sua vasta esperienza storica e con la sua passione per un rinnovamento reale del nostro Paese».

Il giudizio di Dossetti sulla Costituzione, una volta approvata, è positivo a metà. Buona nella prima parte relativa ai principi, specie per quanto riguarda il solidarismo e l’orientamento di servizio dello Stato verso la persona (quando negli anni Novanta verrà messo in discussione lo «stato sociale»  dirà: «Non sono stati quei principi che hanno portato al fallimento, ma è stata la loro disapplicazione»), risulta a lui meno buona nella seconda parte, nel «braccio esecutivo». «È prevalsa la preoccupazione di garantirsi dai comunisti, più che di dare la possibilità di fare».

Resta comunque il fatto che il cattolico Dossetti, nel suo lavoro di costituente, espresse un tentativo alto di coniugare rigore, coerenza, creatività e lealtà verso lo Stato laico.

politica attiva nella Dc

L’impegno di Dossetti nella Costituente è solo un aspetto del suo più ampio coinvolgimento politico.

Nell’immediato dopoguerra, costatata la necessità di ricostruire nella società un terreno favorevole al confronto con il messaggio evangelico, ritiene questa impresa possibile solo se a porvi mano sono uomini fortemente motivati a livello di impegno cristiano, e intellettualmente preparati. La crisi del fascismo, interpretata come la crisi di un’epoca che aveva tenuto i cattolici lontani dalla politica,  candida questi, secondo Dossetti, come forza in grado di risollevare la società italiana rinnovandola, nonostante le compromissioni della Chiesa con il regime.

La politica partitica viene perciò scelta da Dossetti come terreno che, adeguatamente arato nel senso della libertà e dell’equità sociale, può favorire negli individui e nella comunità il recepimento della «notizia» cristiana. Contemporaneamente la politica in quel particolare momento storico è per lui luogo di confronto concorrenziale con il marxismo e i movimenti che ad esso si ispirano. Attraverso un partito di ispirazione cristiana egli pensa di creare uno strumento capace di dare ai cattolici una progettualità politica all’altezza del momento. Si impegna perciò a costituire, all’interno del partito, una élite intellettuale caratterizzata da profonda coerenza evangelica personale e di gruppo. È dunque per testimoniare credibilmente la fede in un dato momento storico che Dossetti si impegna in politica.

Egli alla fine della guerra non è iscritto ad alcun partito, ma subito dopo la Liberazione viene cooptato dalla Democrazia cristiana, sia a motivo del suo impegno nella Resistenza – qualifica non molto diffusa tra i democristiani – e sia per la sua capacità dialettica e di conduzione assembleare.

Considerato facilmente manovrabile, ed eliminabile quando la sua immagine di bravo ragazzo che ha fatto la Resistenza non sarebbe servita più, è nominato vice segretario del partito per l’Italia del Nord. Il giovane Dossetti si rivela però tutt’altro che malleabile. Tra l’altro, si qualifica subito apertamente per la scelta repubblicana, nonostante il segretario del partito Alcide De Gasperi avesse imposto di aspettare a prendere posizione. Di conseguenza non gli vengono mai affidati incarichi adeguati alla massa di voti che attira nelle elezioni degli organismi interni. Egli risulta oggetto di una progressiva emarginazione all’interno del partito, che lo porta a dimettersi nel 1951, e dal Consiglio nazionale e dalla Direzione del partito. Poco meno di un anno dopo si dimette anche dalla Camera dei deputati.

il dissenso da De Gasperi

Alla base di questa emarginazione c’è una incomprensione di fondo con De Gasperi, dovuta – testimonia Giuseppe Alberigo – all’età, alla formazione culturale e alla preparazione teologica. Tutto ciò creò tra i due una grande estraneità.

Infatti De Gasperi è un cattolico liberale, che privilegia la governabilità rispetto al progetto e che forma governi di centro con i rappresentanti politici della borghesia industriale conservatrice. Dossetti invece è per un partito con un programma fortemente caratterizzato sul piano sociale ed economico (maggior peso ai lavoratori, imposta straordinaria sul patrimonio, abolizione del latifondo, nazionalizzazione delle grandi industrie monopolistiche). Egli inoltre ritiene, dopo il voto del 18 aprile 1948 in cui la Dc riporta la maggioranza assoluta dei consensi, che il suo partito non abbia bisogno di coalizzarsi con altri. Ciò porterebbe ai veti incrociati che intralcerebbero la realizzazione di un programma socialmente qualificato, e apparirebbe come tradimento della fiducia degli elettori, oltre a un venir meno, da parte dei cattolici impegnati in politica, delle proprie responsabilità.

È anche contro la concezione degasperiana della difesa della libertà – siamo in clima di «guerra fredda» – come via e premessa per raggiungere la giustizia sociale, perché vede in questo modo di pensare la giustificazione di un anticomunismo esasperato, da combattersi soprattutto sul piano dell’ordine pubblico più che su quello delle riforme sociali.

riserve sul Patto Atlantico

Il dissenso con De Gasperi si manifesta in maniera particolarmente acuta nel momento dell’adesione italiana al Patto Atlantico (l’alleanza dei paesi occidentali attorno agli Stati Uniti d’America in contrapposizione con i paesi dell’Est comunista uniti attorno all’Urss). Egli sostiene una «politica attiva di nazioni neutrali» cementata dal rifiuto di ogni fatalismo bellicista, da contrapporre al «passivo neutralismo filosovietico» propugnato dai comunisti. La contrapposizione muro contro muro che il Patto determinerebbe non pensa possa soddisfare le esigenze di giustizia e sicurezza globali. Anzi, prevede che «l’urto polemico tra i due blocchi finirà con il far derivare la sopravvivenza di entrambi dall’esistenza polemica dell’altro».

Dossetti esprime anche perplessità circa il modo con cui l’Italia aderì al Patto, ciecamente, firmando «una cambiale in bianco allo stato maggiore americano», con una mentalità «estranea alla cultura dei giovani politici selezionati dalla Resistenza». Temeva un’adesione incondizionata alla mentalità statunitense.

Il distacco dalla politica attiva di Dossetti si attuò mano a mano che le scelte delle alleanze politiche per il governo, le opzioni economiche della Dc, e l’adesione al Patto Atlantico contribuirono sempre di più all’irrigidimento dei blocchi, eliminando ogni spazio di rinnovamento. Esso fu voluto e deciso onde evitare che Dossetti e i suoi uomini più qualificati finissero per avere esclusivamente una funzione di esca nei confronti delle classi lavoratrici, di «foglia di fico a una politica di conservazione».

le realizzazioni

Dossetti comunque, nel suo impegno con la Dc e in Parlamento, realizzò anche a livello operativo, oltre che su quello delle idee.

Convinto dell’importanza della classe operaia per far uscire il Paese dalla crisi del dopoguerra, si adoperò a che il proletariato non operasse con gli strumenti ideologici e politici del marxismo. Battendosi per una vita fatta più di umanità che di profitto, si impegnò per l’impostazione e la promulgazione di interventi che traducevano in termini legislativi le tesi economiche keynesiane: la legge Sila, per la Cassa del Mezzogiorno, i provvedimenti per le aree depresse (delta del Po, Maremma, Metaponto). Fu attivo ed efficace anche riguardo la riforma agraria e tributaria.

Con la sua attività manifestò la preminente preoccupazione per i problemi del lavoro, e polemizzò spesso con la maggioranza del partito che faceva prevalere le esigenze del pareggio di bilancio e di difesa della moneta sulla necessità di creare nuovi posti di lavoro. Considera il capitalismo come «l’ideologia più radicalmente anticristiana», e descrive la Confindustria come «un gruppo oligarchico di monopolio nel campo dell’impresa, lo strumento di un’avida plutocrazia paesana, la più oscura delle potenze oscure del nostro tempo».

Fu inoltre tra i primi, all’inizio degli anni Cinquanta, a sollevare all’interno del partito la questione morale (caso Mentasti), e mise in allarme fin da allora circa il calo dell’impegno ideale per l’insinuarsi dell’interesse privato.

Merita infine ricordare la lucida analisi che fece dopo il successo della Dc alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, in controtendenza con l’euforia dei suoi compagni di partito, che parlavano di vittoria della democrazia e della libertà: «Hanno giocato circostanze interne e internazionali tra le più fortuite, comunque tra le meno dominate o riscattate da una coscienza politica matura e libera. Ha influito la paura del Pci, con la sua intransigenza faziosa, le sue complicità internazionali, l’estraneità radicale agli interessi del popolo italiano, la pericolosa aggressività. Ha influito una mobilitazione degli ideali cristiani e delle aspirazioni cattoliche talvolta spinta fino ad essere in qualche modo deviata dal genuino e fraterno senso cristiano della vita e dei rapporti umani. Per questo non ci si può illudere che sia stato il giorno dell’assunzione pienamente consapevole di una responsabilità e di un continuativo impegno politico da parte della maggioranza degli italiani, né che sia stato il giorno della vittoria dello Spirito. Ha vinto solo l’intuizione e la speranza germinale di una nuova vita democratica».

formare le coscienze

Man mano Dossetti si rende conto del proprio stato di emarginazione entro la Dc, orienta il suo impegno verso la coscientizzazione e la formazione, peraltro mai trascurato nemmeno nel periodo dell’impegno attivo. Fin dal 1946 è nel gruppo «Civitas Humana», e dal maggio 1947 dà vita alla rivista quindicinale «Cronache sociali», come esigenza di offrire uno strumento operativo all’azione culturale dei cattolici impegnati in politica, un compromesso tra azione politica e azione culturale. Alla rivista, aperta alle più svariate collaborazioni, disponibile al dialogo sui problemi dell’uomo e della società, vi collaborano tra gli altri G.Alberigo, A.Amorth, G.Baget Bozzo, L.Bianchini, F.Caffè, C.Colombo, J.M.Domenach, L.Elia, A.Fanfani, E.Forcella, F.Fortini,  S.Golzio, L.Gui, G.La Pira, S.Lombardini, E.Minoli, F.Montanari, A.Moro, C.Mortati,  U.Padovani, A.Sabatini.

Entro queste pagine Dossetti profonde il suo sforzo progettuale politico, mentre vigila sul processo di fondazione dello Stato. «Cronache sociali» diventa ben presto autorevolissima rivista di formazione qualitativamente molto elevata, una delle realtà culturali più rilevanti del laicato cattolico in quegli anni e una delle voci nuove più pregnanti del mondo culturale italiano. Con essa la cultura cattolica si confronta alla pari, senza complessi e senza sterile e superficiale aggressività, con l’agguerrita cultura marxista e la presuntuosa cultura laica. Contribuì tra l’altro a far conoscere al mondo cattolico italiano le più avanzate esperienze del cattolicesimo europeo, soprattutto francese, che in quegli anni aveva come esponenti uomini come Emanuel Mounier e il cardinale Suhard.

Il ritiro dalla politica attiva di Dossetti va letto dunque come l’avvio di una diaspora lungo la quale coloro i quali si riconoscono nelle sue idee si incamminano al di fuori di una rigida solidarietà ideologica e senza istituzionalizzazione alcuna. Il fine è quello di tamponare la degenerazione del sistema, non essendo più possibile, secondo Dossetti, un suo sostanziale rinnovamento.

In senso ampio Dossetti farà sentire la propria influenza ideologica e spirituale fin nel cuore degli anni Novanta, non essendo difficile ravvisare nell’Ulivo di Romano Prodi consistenti tracce del suo modo di concepire l’impegno del cristiano nella politica. I dossettiani si sono dispersi nella pasta sociale e politica italiana senza raggruppamenti formali, ma piuttosto come lievito. Illustri o anonimi, sono tanti coloro che nell’ultimo mezzo secolo, e ancora oggi, hanno in Dossetti un luminoso punto di riferimento per le loro scelte pubbliche e private.

Tra coloro che risultano essere sensibili ai valori espressi da Dossetti si può ricordare Achille Ardigò, Vittorio Bachelet, Rosy Bindi, Sandra Bonsanti, Antonino Caponnetto, Giancarlo Caselli, Bartolo Ciccardini, Gherardo Colombo, Paolo Flores d’Arcais, Angelo Gaiotti, Giovanni Galloni, Luigi Granelli, Romano Prodi e tanti altri.

Dossetti fu oggetto anche di critiche feroci ed ingiutificate.

De Gasperi lo accusò nel 1949 di non volersi mettere «alla stanga» (cioè di non volersi assumere responsabilità di governo) ma in realtà fu la maggioranza del partito che, dopo il congresso Dc di Venezia, fece cadere nel nulla la disponibilità da lui e dai suoi espressa in proposito (si rimanda alla dettagliata ricostruzione dei fatti che appare su «Cronache sociali», 1/1950, pagina 974 dell’antologia a cura di M.Glisenti e L.Elia).

integralista?

Una delle accuse ricorrenti fu quella di integralismo, ma si tratta di un addebito di maniera, banale e superficiale. Certo, le sue posizioni politiche e culturali sono ben definite e taglienti, senza concessioni al compromesso. Ma questa dimensione di fondo della sua personalità e della sua formazione culturale non può essere letta come integralismo, che è invece la pretesa di dare meccanica traduzione politica e istituzionale a convinzioni teologiche e spirituali.

Accusare Dossetti di integralismo significa travisare grandemente il suo incessante sforzo di armonizzare ispirazione evangelica, impegno politico e rigore culturale, nel rispetto delle reciproche caratteristiche ed autonomie. Ne è dimostrazione tra l’altro la sua costante opposizione polemica a Luigi Gedda e ai suoi Comitati Civici. Quando Dossetti parla di un nesso organico tra cristianesimo e civiltà stimola il credente a una lettura e a una interpretazione della cronaca e della storia di tipo Sapienziale, onde dedurre i compiti e le responsabilità per l’«oggi», cioè solo per l’ora che si sta vivendo. Egli stimola i credenti ad attuare in continuazione sintesi dinamiche tra categorie teologiche e politiche. È convinto che la genuina radicalità evangelica non mortifichi, anzi apra e faciliti, le più ardite ed innovative mediazioni politiche. Dossetti lo dimostrò nella vita politica e nell’attività costituente, dove allacciò dialogo e collaborazione con i comunisti quando imperversava, anche a livello mondiale, il più aspro scontro ideologico.

filocomunista?

E a proposito dei comunisti, un’altra delle accuse cucite ad-

dosso a Dossetti è quella di essere stato filocomunista o, come si dice con brutto e improprio termine, cattocomunista.

Si è già accennato alla stima reciproca che ai tempi della Costituente intercorreva con Togliatti. Ciò non toglie che egli sia sempre estremamente vigile nei confronti del Pci, ma senza isterismi. Scrive nel 1947: «L’opposizione dei comunisti ha avuto e continua ad avere aspetti di eccessività preconcetta e di volgarità. Negli indirizzi e nell’azione del partito c’è la prevalenza del fattore internazionale su quello interno». È però fermamente convinto che la democrazia italiana non possa rafforzarsi senza l’apporto costruttivo dei comunisti, indispensabili tra l’altro per attuare le riforme strutturali previste dai diritti costituzionali.

testa nelle nuvole?

Un’altra accusa, condivisa da molti, è quella espressa lapidariamente da Indro Montanelli, che nel 1972 scriveva: «A me i Dossetti piacciono solo in convento. In politica, anche se entrano per i motivi più disinteressati, li considero nefasti». È questa la posizione abituale della borghesia conservatrice, per la quale il cattolico in politica è buono solo se è attivamente anticomunista, ma guai se intende interferire con le scelte economiche, che debbono invece restare rigorosamente entro l’orbita del profitto capitalistico.

Sempre Montanelli, scrivendo in occasione della sua morte, si associa al giudizio di Giulio Andreotti, il quale una volta gli confidò che Dossetti «merita il paradiso, ma io avrei preferito incontrarlo lì». Segno che su questa terra quel che Dossetti esprimeva dava fastidio ad entrambi; il che può essere recepito anche come un complimento. Montanelli considera Dossetti e La Pira «tra gli uomini più onesti dello scudocrociato, ma con gli occhi troppo levati al cielo per accorgersi della fogna in cui i loro piedi stavano sguazzando». È questo un giudizio a dir poco superficiale, che riflette la convinzione qualunquistica che la politica sia sempre e comunque una cosa sporca. Montanelli si dimostra in questo caso osservatore frettoloso. È da una vita che scrive essere la politica italiana nauseabonda, al punto che per accostarglisi è necessario turarsi il naso, ma poi si rivela incapace di accorgersi quando sulla scena appaiono protagonisti che oltre ad essere onesti posseggono anche grande intelligenza politica e procedurale.

il partito-programma

Per concludere sul Dossetti politico non si può non rilevare l’attualità della sua idea del partito-programma.

Oggi infatti i partiti presentano una uniformità e una evanescenza quasi assoluta a livello programmatico, tant’è che molte riforme di segno conservatore sono state attuate da un governo che aveva come primo ministro il segretario del più grosso partito della sinistra. L’eccessiva accentuazione posta sul carisma personale del capo fa sì che questo si presenti agli elettori con promesse vaghe e generiche, ancorché allettanti, senza specificare come e a che prezzo verranno mantenute. È insomma la richiesta di fiducia a scatola chiusa.

Circa la domanda che spesso ci si pone quando si parla del dissidio tra De Gasperi e Dossetti: chi ha vinto? faccio mia la risposta che diede una volta Aldo Moro: storicamente e politicamente ha avuto la meglio De Gasperi, ma egli poté fare ciò che fece grazie soprattutto allo stimolo critico che Dossetti esercitò.

in difesa della Costituzione

A partire dal 1958, dopo le dimissioni dal Consiglio comunale di Bologna e la scelta del sacerdozio, Dossetti pare disinteressarsi della politica per una piena immersione nel mondo ecclesiale, in un contesto prevalentemente di studio e di preghiera. In realtà però, non viene mai meno l’attenzione alle vicende della polis, locale e mondiale; fino al punto da emergere, con rinnovata disponibilità al coinvolgimento, quando il dovere dell’ora ritorna ad essere particolarmente cogente.

Qualche anno prima della morte, nel pieno della crisi istituzionale apertasi negli anni di Tangentopoli e a causa del crollo del precedente equilibrio politico, confida ad Alberigo: «Mi sveglio di notte, penso a quanto sta accadendo nel Paese, non mi do pace e non riesco a riprendere sonno». Visse la vittoria elettorale di Berlusconi del marzo 1994 come il prevalere di un capitalismo consumistico e come sconfitta dei valori cristiani.

Dopo la vittoria di Berlusconi nelle elezioni politiche denuncia i rischi del quadro culturale e politico che l’evento porta con sé, e quando viene posto il problema della revisione della Costituzione lancia un allarme per la «trappola», che intravede «tesa dal nuovo ordine di cose». Ai cattolici che non si dimostrano insensibili al fascino del potere berlusconiano ricorda: «Non posso dimenticare che l’altra volta, più di settant’anni fa [quando il fascismo prese il potere] tutto è cominciato allo stesso modo. Ho ancora presenti gli articoli di ‘Civiltà Cattolica‘ dal 1920 al 1924 che preparavano l’acquiescenza al colpo di stato del 3 gennaio 1925 [quando Mussolini sciolse le Camere]». Ora, se con Berlusconi non si corre il pericolo di veder materialmente sciolte le Camere, c’è comunque il pericolo che queste vengano svuotate di potere reale dalla presenza di tanti yesmen in gessato scuro e con la cravatta a pallini bianchi.

Nel marzo 1994, mentre difende il significato tras-temporale della Resistenza, ripropone il suo ideale di democrazia sostanziale, in contrasto con «quella liberal-democrazia di cui tutti oggi sembra si siano fatti seguaci e realizzatori, con un nominalismo sempre più corroso di ogni sostanza fattiva».

Nella sua «difesa attiva, critica e dinamica della Costituzione» non si comporta da nostalgico, ma consiglia di andare con i piedi di piombo, essendo questa un «patto di convivenza» esprimente i principi e le regole della «casa comune», e non un qualsiasi contratto usa e getta.

Pur riconoscendo che l’attuale non sia il tempo più propizio per una impresa costituente – non si è in presenza di spinte al cambiamento di stampo universale, ma solo di spinte particolaristiche, disgregatrici del corpo sociale – riconosce l’opportunità di una riforma compatibile con i principi e l’architettura dell’attuale Costituzione.

Fatti salvi i principi fondanti (l’unità e l’indivisibilità del popolo italiano, il principio personalistico e il valore primario della persona umana con tutti i diritti che ne conseguono, il principio della diffusione del potere tra una pluralità di soggetti), è per un ragionevole federalismo, per il superamento del bicameralismo, per un rafforzamento della figura del Primo ministro e per una maggiore stabilizzazione dell’esecutivo. Non manca però di rilevare la presenza di problemi più urgenti (disoccupazione, Mezzogiorno, antitrust), che non possono essere trascurati a causa di interminabili dispute su temi istituzionali.

per la pace

Ma la sua presenza negli ultimi anni di vita non si limitò all’area nazionale. Risultò essere durante la guerra del Golfo, con le sue comunità di preghiera collocate di qua e di là del Giordano, testimone muto, ma tutt’altro che silenzioso nella sostanza, della tensione alla pace, alla comprensione, all’unità. I suoi monaci a Gerusalemme, a Gerico, sotto il Monte Nepo, ad Amman, divisi da uomini armati, pregavano dietro le linee di guerra e si adoperavano, come uomini di studio e di preghiera, a riunire le culture ebraica, araba ed occidentale, in quel momento separate da linee di odio e sangue.

La sua attenzione e passione per le sorti civili, politiche e sociali del Paese e dell’umanità intera non risultano dunque per niente affievolite dalla «scelta religiosa». È sì mutata la forma concreta e operativa del suo impegno personale di uomo e credente, ma non risultano decadute le motivazioni che a suo tempo avevano ispirato e sorretto quell’impegno. Motivazioni che riconducono al progetto evangelico dell’amore di Dio e del prossimo.

Dio e gli uomini sul serio

Se c’è un versetto evangelico che ci aiuta a capire con quali occhi Dossetti guardava alle vicende di questo mondo, questo è Luca 6,26: «Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti». Con questa citazione iniziò il discorso tenuto in occasione dell’assegnazione dell’Archiginnasio d’oro.

Per contrasto, questa citazione ci porta a considerare il luogo comune ampiamente diffuso circa il susseguirsi di fallimenti e insuccessi che avrebbero caratterizzato la vita di Dossetti. Persone a lui un tempo anche vicine giudicarono la sua scelta religiosa come «aberrante esito di una malattia mentale», e anche De Gasperi nel 1951, in una lettera a Pio XII, parlava di «mentalità dossettiana, unità di allucinazioni e presunte divinazioni».

Al di là della sua realizzazione esistenziale entro un’ottica evangelica – il cui risultato nessuno penso voglia mettere in dubbio – anche la storia ha trasformato i suoi fallimenti in successi. Infatti, la Democrazia cristiana che lo emarginò, con tutta probabilità sarà in futuro ricordata positivamente soprattutto per la politica sociale che lui e i suoi riuscirono a trasformare in «stato». Circa il rinnovamento nel senso del Vaticano II della Chiesa, sul cui cammino cadde assieme a Lercaro, la via da lui intrapresa appare oggi più che mai l’unica da percorrere se si intende liberare il messaggio evangelico da quella patina dolciastra che lo snerva, facendolo apparire buono per tutti i palati, da madre Teresa di Calcutta a Valeria Marini, da Romano Prodi a Berlusconi.

Le sue frequenti dimissioni e i suoi ritorni sulla scena pubblica, poi, lungi dal rappresentare un individuo irresoluto e inconcludente in balia degli avvenimenti, lo fanno emergere come personalità che ha fatto della fedeltà l’orientamento costante della sua vita.

E il distillato di questa fedeltà lo si può trovare in un brano introduttivo al libro di Luciano Gherardi, «Le querce del Monte Sole», nel quale egli delinea quale debba essere la prassi cristiana in politica. Essa si fonda su «quella Sapienza evangelica che fa esercitare le virtù teologali della fede, speranza e carità, entro un delicatissimo equilibrio di esercitata prudenza e di fortezza magnanima; di temperanza luminosa e di affinata giustizia individuale e politica; di umiltà sincera e di mite ma reale indipendenza di giudizio».

Veramente, come rilevò il cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi nell’orazione funebre, don Giuseppe fu uno che prese Dio e gli uomini sul serio.

Romolo Menighetti

Riferimenti bibliografici

Per la stesura di queste pagine mi sono in particolare avvalso del seguente materiale.

Di Giuseppe Dossetti, La ricerca costituente 1945-1942, a cura di Alberto Melloni, Bologna 1994; Con Dio e con la storia. Una vicenda di cristiano e di uomo, Genova 1986; Alcuni aspetti della Chiesa (esercizi spirituali dettati assieme a Umberto Neri), Reggio Emilia 1985, nonché la lunga prefazione fatta al volume di L.Gherardi, Le querce del Monte Sole. Vita e morte delle comunità martiri fra Setta e Reno. 1898-1944, Bologna.

Ho consultato gli articoli scritti da D. sulla raccolta in due volumi di Cronache Sociali 1947-1951, Antologia a cura di M.Glisenti e L.Elia, San Giovanni Valdarno-Roma 1961.

Analoga ricerca ho svolto sulle riviste Il Regno, Bologna (che riporta quasi tutti gli interventi di D. dell’ultimo suo decennio di vita, diversi articoli su di lui e i documenti relativi alla Piccola Famiglia dell’Annunziata), e Aggiornamenti Sociali, di Milano. Anche alcuni articoli apparsi su Settimana del clero  di Bologna mi sono stati particolarmente utili.

Circa gli scritti su di lui, segnalo P.Pombeni, ll gruppo dossettiano e la fondazione della Democrazia Cristiana (1938-1948), Bologna 1979; A. e G.Alberigo, I nodi della fede cristiana oggi. Omaggio a Giuseppe Dossetti, Genova 1993; G.Trotta, Giuseppe Dossetti. La rivoluzione nello Stato,  Milano 1996; a cura di Orialdo Marsan e Roberto Villa Giuseppe Dossetti, il circuito delle due parole, Portogruaro 2000.

Ho infine consultato la pubblicistica apparsa sui quotidiani e sui periodici in occasione delle sue più significative prese di posizione, e nei giorni successivi alla sua morte.

Seguiranno: Piero Calamandrei – Palmiro Togliatti – Alcide De Gasperi – Lelio Basso

confronta inoltre: Giorgio La Pira in «Rocca» n. 13/200