suor Emanuela Ghini, di Bologna, allieva di Teodorico Moretti-Costanzi, dopo gli inizi della carriera accademica in filosofia teoretica è monaca al Carmelo di Savona, autrice di molte pubblicazioni bibliche e di spiritualità. Ha conosciuto Dossetti prima dell’ingresso al Carmelo ed è rimasta sempre in contatto e comunione con la sua esperienza e comunità
Il mio incontro con Dossetti
Il mio primo incontro con Giuseppe Dossetti risale all’adolescenza, quando frequentavo il ginnasio al Romagnosi di Parma, dove risiedeva allora la mia famiglia. Tornando da scuola dovevo percorrere viale Toschi, lungo il torrente Parma, per raggiungere rapidamente via Trento, dove abitavamo, nella villa alla quale si legano i ricordi di una bellissima infanzia. Quel giorno però fui tentata da una via diversa e mi ritrovai in centro, in piazza Garibaldi, durante un comizio di Giuseppe Dossetti, credo poco più che trentenne. Non sapevo chi fosse, non capivo nulla di politica, ma rimasi inchiodata al suolo ad ascoltare un discorso incomprensibile, eppure quasi trasparente perfino per una ginnasiale digiuna di tutto come ero. Per la passione, l’ardore, l’impeto contenuto ma fortissimo e la purezza di coscienza che irradiavano da ogni parola. Una energia spirituale che pareva sommergere la piazza, muta e come rapita. Una singolare percezione mi attraversò come un lampo: da grande – da adolescente, come tutte le mie coetanee di buona famiglia dell’epoca, ero una ragazzina con le calze corte, la cartella e il berrettino — avrei incontrato quell’uomo e sarebbe stato determinante per la mia vita. Fu una folgore e sparì. Passò più di un decennio. Quando, appena ricevuta la nomina – che avrei annullato dopo pochi mesi – ad assistente straordinaria in filosofia teoretica nell’Universita di Bologna, mi si impose con prepotenza la vocazione al Carmelo, Luigi Bettazzi, che mi guidava nei primi passi del passaggio dall’angoscia dell’agnosticismo alla tensione della ricerca al Vangelo, e don Umberto Neri, entrambi già miei compagni di corso, mi suggerirono di avvicinare don Giuseppe Dossetti: egli viveva ormai a Bologna e si orientava alla costituzione di un’associazione monastica di fratelli e sorelle. Non ricordo quando ebbi il primo colloquio con lui. Nacque un rapporto indissolubile di paternità spirituale e di iniziazione forte e dolce alla vita monastica. Verso gli anni Sessanta Dossetti si trasferì con don Efrem al santuario della Madonna di San Luca e le prime sorelle si raccolsero in una villetta vicina. Qui per alcuni anni, fino al mio ingresso al Carmelo, mi recavo quanto più potevo alla recita del Mattutino e delle Lodi, seguite dall’Eucaristia, celebrata da don Giuseppe. Facevo anche alcuni ritiri eremitici, impostati e seguiti da lui; terminavano con un lungo colloquio col Padre e una ricreazione con le sorelle. La mia vita cristiana deve il Vangelo a Luigi Bettazzi, che mi avrebbe accompagnato al Carmelo e poi sempre seguito con indicibile costanza e la comunione di tutta la vita. Deve l’impronta monastica e la percezione dei suoi fondamenti al magistero di don Giuseppe Dossetti. Quando lasciai Bologna, il distacco più doloroso, oltre a quello dai miei familiari, fu dalla Piccola Famiglia dell’Annunziata. Il saluto al Padre ebbe luogo dopo quello alla mamma e alle sorelle. Don Giuseppe, che già mi aveva donato il suo Nuovo Testamento in greco, mi diede l’immagine ricordo della sua ordinazione sacerdotale, con la firma autografa di Teresa Neumann. Aver frequentato per anni la Piccola Famiglia nascente, dove alcune sorelle erano state mie compagne di studio, aver gioito della presenza materna di Agnese Dossetti, la mamma che nel 1959, a 74 anni, era andata a vivere a San Luca per fare da madre alla giovane comunità femminile, avere intuito la bellezza della vita comunitaria, con le sue asprezze ma la sua inesauribile grazia, ha alimentato in me il coraggio per una sequela che don Giuseppe chiamò avventura, assicurandomi che sarebbe andata bene. Ho sempre considerato la Piccola Famiglia dell’Annunziata la mia culla e il faro che ha illuminato la mia vita carmelitana. Vi ho attinto l’amore alla Scrittura, ai suoi primi esegeti, i Padri e i dottori, la passione per la ricerca di una povertà interiore sempre più grande anche in ambito culturale, la devozione ai santi carmelitani, da Teresa d’Avila a Teresa di Lisieux: il carisma del Carmelo, la sua verticalità e il suo umanesimo evangelico, il suo servizio ecclesiale, la pura bellezza di quella che Dossetti chiama l’ingenuità essenziale della fede. Ogni volta che don Giuseppe veniva a trovarmi, il nostro piccolo parlatorio monastico pareva incendiato dal vento bruciante dello Spirito. A distanza di decenni rammento tutte le parole che mi ha detto e scritto, e quando ne ho riferita qualcuna essa ha diffuso forza e pace. Ma fu il silenzio il luogo più fondo del nostro rapporto, della effusione della sua tenerezza di padre e della mia ubbidienza di figlia. Un distacco e un silenzio, spazio della preghiera, dove la comunione era cosi intensa e trasparente da annullare ogni necessità di espressione al di fuori della Parola di Dio, che risuona, intima alla coscienza più della coscienza stessa, oltre le parole umane. Se, per ipotesi presuntuosa, dovessi assolutizzare quanto dell’immenso magistero di Giuseppe Dossetti mi è stato donato e ha guidato la mia giornata carmelitana, richiamerei questa affermazione dell’ultimo decennio della sua vita: «L’altissima risposta d’amore all’Amore trinitario sarà tanto più utile agli altri e al mondo intero, quanto meno si preoccuperà e saprà di esserlo: cioè quanto più si ignorerà, si perderà, quanto più sarà silenziosa e radicale follia, dimessa e impotente; allora raggiungerà quel grado di sottigliezza, di agilità penetrante, di tersa inoffensività che può pervadere gli spiriti degli altri uomini senza che se ne accorgano, riempirà la chiesa stessa come “un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente” (Sap 7,25)» (G. Dossetti, Per la vita della città, in Id., La Parola e il Silenzio, Milano 2005, pp. 225-226).
(pubblicato in : E. Cirlini – E. Ghini, In comunione con Dossetti – Lettere di un monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata a una carmelitana scalza, 1961-1996, Rimini 2016, pp. 21-24)