Sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà nella riflessione politica ed ecclesiale di Giuseppe Dossetti.

Il principio di sussidiarietà origine e sviluppi
Accezioni
•    non deve essere sussunto dallo stato quello che può essere fatto dalle formazioni sociali; lo stato interviene in via sussidiaria laddove la formazione sociale è inadeguata per mezzi e dimensioni a gestire il problema (sussidiarietà orizzontale)
•    non deve essere sussunto dal livello di governo superiore quello che può essere fatto dal livello inferiore; lo stato ( governo centrale, regione) interviene in via sussidiaria laddove il potere locale (comune, provincia)  è inadeguato per mezzi e dimensioni a gestire il problema  (sussidiarietà verticale)

Origini
Il pds, nato dalla riflessione dei cattolici tedeschi alla fine del’800 viene assunto come principio della dottrina sociale della chiesa con l’enciclica Quadragesimo anno, promulgata da Pio XI nel 1931.
Esso viene ripreso dal magistero di Pio XII in vari radiomessaggi e diviene uno dei cardini su cui si incentra la riflessione di parte del mondo cattolico sia nella fase trionfante del fascismo (crisi dell’Azione Cattolica) come argine alle strategie totalizzanti del fascismo verso la società civile e religiosa sia nella fase finale del conflitto e, sopratutto, nella riflessione che accompagna la ricostruzione democratica.

Nella riflessione politica
Esso è oggetto di dibattito all’interno della DC ed è ben noto a Dossetti e al gruppo di giovani intellettuali e politici che ne dibattono sia nelle sedi politiche e istituzionali (cfr Indirizzi programmatici 1946, La DC e la Costituente, ecc.).
Il principio di sussidiarieta’ sia verticale che orizzontale è ben presente nei lavori dell’ assemblea costituente ed in particolare della Prima sottocommissione che ha il compito di redigere gli articoli relativi ai diritti e ai doveri.
E’ significativamente presente sia come principio che in generale come termine in numerosi articoli di Cronache sociali.
Nella Relazione sullo Stato (1951) esso, anche senza essere nominato espressamente appare essere il vero pilastro portante della concezione dello Stato moderno e democratico.
Infine tutto il Libro bianco, manifesto programmatico dell’ultima avventura politica di Dossetti, la candidatura a Sindaco di Bologna nel 1956 è intessuto intorno al principio di sussidiarietà orizzontale (ruolo importante e attiva partecipazione delle formazioni sociali alla vita e al governo della città)  e verticale (rivendicazione dell’autonomia dei comuni rispetto ai controlli statali tramite i Prefetti).
Anche rispetto al principio di sussidiarietà come per tutta la dottrina sociale del magistero ecclesiale vi è in Dossetti una ‘fedeltà creativa’ che fa da strumento statico e polemico nei confronti dello stato moderno un principio dinamico di costruzione effettiva dello stato democratico (Trotta).

Nella riflessione ecclesiale
Che il pds possa essere non solo un principio di allocazione dei poteri statali, ma avere riflessi anche nell’ordinamento della Chiesa è stato esplicitamente affermato da Pio XII.
Può essere utile interrogarsi come mai D che aveva propugnato il suo utilizzo dinamico come principio cardine dello stato moderno e democratico non ravveda le stesse potenzialità nel processo di rinnovamento della compagine ecclesiale.
Alberigo adombra una possibile ragione nella valenza canonistica del principio che avrebbe contribuito a mantenere la giuridicizzazione della vita ecclesiale di contro ad una ecclesiologia di comunione e pneumatica che si stava facendo faticosamente largo nella riflessione dei teologi e dei vescovi.
A questa ipotesi si possono sicuramente aggiungere le riserve di dossetti verso l’unica presenza certa dell’istituto nel diritto canonico: quella relativa agli ordini e alle congregazioni religiose, le cui Costituzioni e Statuti costituiscono in prima istanza la disciplina della vita religiosa relegando il diritto canonico comune a vescovi, sacerdoti e fedeli laici ad una funzione sussidiaria, generando quella condizione di ‘esenzione’ degli ordini monastici rispetto al Vescovo e alla Chiesa locale, che D. non amava, al punto di rigettare per se (e per la propria famiglia religiosa) la qualifica di ‘monaco’, se inteso come ‘separato’ dalla vita della Chiesa locale.
Resta da verificare, al di là di un silenzio nominalistico sul pds, se esso comunque non sia stato presente nel ripensare il sistema di relazioni fra chiesa locale e chiesa universale e la questione del primato, influendo sia sul magistero del   Concilio Vaticano II sia sui tentativi di attuazione nella Diocesi di Bologna.

Fonti

Letteratura